Riceviamo e pubblichiamo un contributo di idee per lo sviluppo della nostra regione inviato da Franco Vespe.
Un paio di anni fa mi sono ritrovato all’ambasciata italiana in Egitto dove incontrai alcuni colleghi ricercatori dell’ENEA. Erano lì perché dovevano realizzare in Egitto una centrale solare termodinamica. Una centrale termica solare funziona con lo stesso principio degli specchi “ustori” di Archimede che i siracusani in assedio usarono per bruciare le navi romane del console Marcello. Se prendiamo una lente d’ingrandimento essa concentra i raggi del sole in un solo punto surriscaldandolo a tal punto da innescare il fuoco. Ebbene si a distanza di anni posso finalmente confessare che era anche uno dei miei giochi preferiti con il quale incendiavo le macchinine ma… bruciavo anche le tende di casa mia ahimè! Ma non divaghiamo. La centrale solare termica che l’ENEA vuole esportare in Egitto, funziona seguendo lo stesso principio focalizzando i raggi solari su serbatoi riempiti con una miscela di sali fusi a grande capacità ed inerzia termica che può raggiungere una temperatura di 550°. Questa miscela non solo è in grado di accumulare calore ma anche di trasportarlo. Così il calore accumulato poi può essere iniettato nella catena di produzione dell’energia per giungere ad azionare le turbine elettromagnetiche in grado di produrre corrente elettrica. La grande inerzia termica permette di sfruttare poi questo calore anche di notte (al contrario degli impianti fotovoltaici) Attualmente è stato costruito un impianto di questo genere a Priolo in Sicilia, in collaborazione con l’ENEL. Non dimentichiamo che anche qui in Basilicata ospitiamo alla Trisaia un avamposto dell’ENEA. La risorsa territoriale poi è ampiamente disponibile per sviluppare questo tipo di impianti, forti di una densità abitativa che, insieme a quella della Sardegna, è la più bassa d’Italia. Potrebbe essere così idea non peregrina proporre di costruire una centrale solare termodinamica anche qui in Basilicata. Questa iniziativa poi avrebbe anche dei risvolti storici molto interessanti perché i primi impianti in Italia sarebbero realizzati in terre che furono parte della Magna Grecia e che potrebbero idealmente mettere in comunicazione i due più grandi geni scientifici di quella grande civiltà come Pitagora ed Archimede! Ci sono in regione e dintorni competenze imprenditoriali capaci poi di offrire una partnership industriale adeguata ad ENEA per la realizzazione dell’impianto. Potrebbe essere questa una tipica iniziativa “Glocal” che farebbe da argine alla ormai soffocante e straripante pervasività dei grossi potentati imprenditoriali multi-nazionali che sono arrivati anche nella nostra regione con i loro modelli di sviluppo che stanno devastando si in modo ormai irreversibile le nostre risorse naturali, ma soprattutto quelle sociali e relazionali.
Il solare termodinamico è pulito? Il caso Basilicata. Il solare termodinamico, molto spesso affiancato con centrali termoelettriche a gas metano come previsto nella Regione Basilicata, rappresenterebbe in Italia, con molta probabilità di non sbagliare, una pura speculazione. Non risolve il problema energetico, ma devasta interi territori.
L’Italia non è l’Arabia Saudita, non presenta aree desertiche quali uniche possibili aree che consentono una razionale collocazione di tali impianti nel rispetto dell’Ambiente, del Paesaggio, del Suolo con un idoneo valore di irraggiamento solare diretto (DNI). Per la Basilicata è previsto un impianto della potenza elettrica di 50 MW con l’occupazione di oltre 226 ettari di terreni fertili ed irrigui. L’ara di impronta dell’impianto occuperebbe ben 15 pozzi artesiani dei 19 previsti nell’area circostante.
Pensare all’Italia per acquisire competenze sul “solare termodinamico” ed esportarle nei paesi arabici, come sostiene l’ANEST, non rappresenterebbe un modo sensato di affrontare il problema energetico. Sembra invece un modo attento e preciso per fare affari a discapito di interi territori con tecnologie devastanti per un’area agricola. Impianti chiamati “solari termodinamici” pur non essendo “termodinamici puri” poiché ricorrono anche alla combustione di ingenti quantità di gas metano (con emissioni in atmosfera di inquinanti) per assicurarne un funzionamento in continuità e sicurezza.
L’aggravante, nella Regione Basilicata, è rappresentato dall’uso di decine di migliaia di metri cubi di olio diatermico ad altissimo impatto ambientale con potenziali rischi in caso di sversamenti al Suolo e non solo. L’ impianto, nella regione Basilicata, è soggetto alle Direttive Seveso per essere classificata con attività a rischio in incidente rilevante, ma ovviamente c’è chi sostiene che l’attività industriale è sicura. Peccato però che non si conoscono attività industriali immune da possibili guasti ed avarie nel processo industriale con conseguenze tutt’altro che rassicuranti. Un impianto solare a tecnologia fotovoltaica trasforma energia solare in energia elettrica in modo pulito, mentre un impianto solare a tecnologia termodinamica che ricorre all’uso degli olii diatermici e alla combustione ausiliaria di gas metano, trasforma energia solare in energia termica e quindi in energia elettrica in modo tutt’altro che interamente pulito. Presenta infatti emissioni in atmosfera di benzene, fenolo, ossidi di azoto …. E’ pulito tutto ciò? All’Associazione non pare e condanna tutti i mistificatori della realtà.
Gli impianti interamente rinnovabili sono un’altra cosa e il modo per affrontare il problema energetico (risparmio di energia, efficienza energetica, impianti alimentati da fonte rinnovabile prevalentemente concepiti per l’autoconsumo) viaggia su un binario differente da quello delineato dagli impianti “solari termodinamici” che farebbero meglio a definirli, quando ibridi come per la regione Basilicata, con la dizione di centrali termoelettriche ibride alimentate da fonte rinnovabile solare e da fonte fossile (quindi non rinnovabile) qual è il GAS metano.