Dopo un 2016 in cui l’aumento dei volumi si era accompagnato a un ridimensionamento dei prezzi e aveva visto così una riduzione della spesa, il 2017 si è concluso con un avanzamento complessivo dei volumi di acquisti domestici di uovadell’1,3% e un incremento in termini di spesa complessiva del 4,8%. Sono dati del report Ismea che per la Cia-Agricoltori rappresentano un beneficio anche per le 330 aziende di galline da uova per 16.795 capi allevati nella nostra regione. La distribuzione territoriale degli allevamenti avicoli evidenzia un maggior numero di capi e di aziende nella provincia di Potenza, contro il livello di intensità di allevamento superiore nella provincia di Matera in cui il numero di capi allevati per azienda è di 1.024 a fronte dei 762 del territorio potentino.Sta purtroppo scomparendo la tradizionale figura del contadino nei mercati rionali che vende direttamente le uova della sua azienda e perciò è preferibile acquistare in azienda attraverso il progetto Cia-Turismo Verde La Spesa in campagna.
Le dinamiche registrate dall’Ismeasono frutto, oltre che del recupero sulla precedente annata con prezzi bassi, del maggior assortimento di prodotto di alto profilo, nonché della minore offerta disponibile sui mercati a seguito di emergenze sanitarie e problemi legati alle norme sulla sicurezza alimentare (influenza aviaria e presenza di insetticidi vietati in alcuni lotti di uova) che hanno costretto molti allevamenti al rinnovo del patrimonio delle ovaiole, creando brevi vuoti produttivi ed incrementi dei prezzi. Fortunatamente le “emergenze” sono state gestite con rapidità ed efficienza sia dal mondo allevatoriale che in molti casi ha provveduto a sottoporsi volontariamente al sistema di controllo sia da quello della sicurezza sanitaria, che ha individuato ed isolato i primi focolai con tempistiche rapide che non hanno permesso la diffusione del virus.
I canali di vendita della maggior parte delle uova da consumo confezionate nel 2017 restano quelli della grande distribuzione organizzata (oltre il 57%), in particolare il 37% delle vendite sono avvenute nei super mercati con un incremento dei volumi del 4,5% rispetto al 2016. Incrementi di volume si sono registrati anche negli iper mercati (+1,8%) dove sono state esitate il 20% delle uova vendute, mentre hanno perso quote in volume i negozi tradizionali (-12%) e i discount (-0,8%), dove sono state transitate il restante 30% delle uova vendute. I prezzi delle uova hanno registrato nella fase finale del 2017 un notevole incremento con risultati più evidenti nella fase all’ingrosso dove il prezzo di dicembre è stato superiore del 56% a quello del 2016. I prezzi al consumo hanno ugualmente evidenziato recuperi evidenti nella fase finale di anno, ma essendo l’80% delle forniture baste su contratti a lungo termine gli incrementi sono statiimportanti ma meno accentuati (+23% a dicembre su base annua).
Il trend di vendita per le differenti 4 referenze, individuate in base alla tipologia di allevamento da cui provengono, hanno mostrato un sempre maggior interesse per le produzioni considerate a più alto valore etico-salutare: le uova provenienti da allevamenti all’aperto pur rappresentando ancora una piccola fetta nella distribuzione moderna (solo il 3%) hanno registrato nel 2017 incrementi del 31% rispetto al 2016. Le uova da allevamento a terra hanno incrementato i volumi del 19%, le certificate biologiche del 14%. Mentre per le uova provenienti da allevamenti in gabbie arricchite (che rappresentano ancora circa la metà dell’offerta al consumo) si è registrata una flessione delle vendite del 10%.
Pochi consumatori – sottolinea la Cia – sanno cosa stanno portando a casa dai supermercati e negozi alimentari. Inumerini presenti sul guscio delle uova, infatti, restano ancora un codice “misterioso” per la maggior parte. Sul guscio delle uova c’è un codice che con il primo numero consente di risalire al tipo di allevamento (0 per biologico, 1 all’aperto, 2 a terra, 3 nelle gabbie), la seconda sigla indica lo Stato in cui è stato deposto, seguono le indicazioni relative al codice Istat del comune, alla sigla della provincia e, infine il codice distintivo dell’allevatore. A queste informazioni si aggiungono quelle relative alle differenti categorie (‘A’ e ‘B’ a seconda che siano per il consumo umano o per quello industriale) per indicare il livello qualitativo e di freschezza e le diverse classificazioni in base al peso (‘XL’, ‘L’, ‘M’, ‘S’). Ma – sottolinea la Cia – per semplificare le informazioni necessarie è sicuramente rilevante verificare l’azienda produttrice ben stampata sulla confezione che mette in vendita sugli scaffali le uova.