In Basilicata il Carnevale e’ legato ai riti dell’antica cultura contadina. Gli impulsi ancestrali più profondi della civiltà agropastorale emergono in tutta la loro spettacolarità, conservando alcune delle tradizioni più complesse e codificate del Mezzogiorno, le cui radici più profonde pare giungano fino ai
riti pre-greci – connessi al risveglio della natura – e a quelli romani, rispettivamente i “Baccanali” e i “Saturnali”. Sono sette i comuni lucani in cui la tradizione carnevalesca tocca momenti di alta spettacolarità e partecipazione popolare, riportando alla memoria il mondo naturale e animale attraverso la moderna lettura di miti e leggende: Aliano, Cirigliano, Montescaglioso, San Mauro Forte, Satriano di Lucania,Teana e Tricarico.
Campanacci, maschere della mucca e del toro, riti propiziatori per sperare in un’annata buona: sono questi i tratti salienti delle manifestazioni, in tanti paesi e contrade, sulle quali c’e’ stata una recente riscoperta. Gli antichi riti del carnevale sono ancora vivi, soprattutto nei piccoli centri dove una volta rappresentavano una delle rare occasioni di svago e divertimento, dando anche luogo al pretesto di mangiare un po’ meglio. Oggi sono occasione di riscoperta di riti e tradizioni fortunatamente sopravvissuti alla modernità e alle ondate di emigrazione che hanno rischiato di svuotare i paesi della propria anima.
Di qui l’invito di Turismo Verde-Cia a vivere il Carnevale in agriturismo.
Dopo le manifestazioni, in tavola i piatti della tradizione condiscono questa festa grassa di sapori e ricordi del passato. Molte delle ricette tipiche hanno come base il maiale: i calzoni ripieni di zucchero e ricotta, accompagnati dalle orecchiette, vengono infatti conditi con il sugo di maiale. Oppure un piatto di maccheroni di tutti i tipi: strascinate, maccheroni al ferretto, cavatelli,.. sempre con sugo di maiale, a sottolineare le follie di una festa come il carnevale. Anche il sanguinaccio, dolce cremoso, ha come base il sangue del maiale.
Ritagli irregolari di pastafrolla fritta e spolverati di zucchero al velo sono il dolce della ricorrenza: le chiacchiere, oppure una torta ripiena di ricotta e condita con ciò che c’è a disposizione (cioccolato, polvere di caffè, cannella,…), o le classiche castagnole.
In particolare i piatti del carnevale tricaricese, tutti rigorosamente a base di maiale di allevamento locale (da queste parti resiste ancora il suino nero di Tricarico che la Cia è impegnata a salvaguardare) al quale da qualche giorno è stata “fatta la festa”, perché il “giorno del maiale”, qui come in tutti gli altri paesi lucani, conserva la sua carica di gioia, di magia e con suggestioni di ricchezza e di abbondanza. Mal’ a quer’ cas’ ndò nun tras’ lu pil’ r’ puorch!” (misera quella casa in cui non si ammazza il maiale) recita un vecchio detto lucano, per intendere che la povertà di sempre trovava riscatto almeno per qualche giorno, nella dovizia e nella varietà delle gelatine, dei prosciutti, dei capicolli, delle soppressate, del “pezzente” e delle golose torte al sanguinaccio.
L’obiettivo per Turismo Verde-Cia Basilicata -spiega Paolo Carbone- è di avvicinare attraverso i piatti tipici del Carnevale contadino la “città” alla vita rurale per invitare i consumatori a “farsi la dispensa alimentare” presso le aziende agricole e gli agriturismi, rinnovando la tradizione di prepararsi il salame e la “suppersata”, la pancetta, il prosciutto, direttamente con la famiglia dell’allevatore suinicolo. Un modo originale di vivere la giornata nell’agriturismo e nella ruralità e -continua Carbone- di affermare nei fatti la nostra proposta di marchio della qualità dell’ospitalità rurale.
Gli antichi riti del carnevale sono ancora vivi, soprattutto nei piccoli centri della Basilicata. Una volta rappresentavano una delle rare occasioni di svago e divertimento, dando anche luogo al pretesto di mangiare un po’ meglio. Oggi sono occasione di riscoperta di riti e tradizioni fortunatamente sopravvissuti alla modernità e alle ondate di emigrazione che hanno rischiato di svuotare i paesi della propria anima.
Il freddo pungente accompagna allegoriche figure carnacialesche in corteo per le vie dei piccoli centri, per culminare spesso con il rogo propiziatorio del carnevale.
A San Mauro Forte, dopo i festeggiamenti in onore del Santo protettore, l’inizio del carnevale è segnato dalla sfilata dei portatori di campanacci che fino a notte fonda percorrono le viuzze del paese, rinpinguati con salsicce, taralli, focacce e vino locale (15-16-17 gennaio).
A Tricarico le maschere tradizionali dei tori e delle vacche, vestite di nero con drappi rossi le prime, e di bianco con drappi colorati le seconde, girano per il paese per la questua accompagnati dal massaro. Il rimando alla transumanza dei bovini che per centinaia di anni hanno attraversato Tricarico, è palese. Anticamente gli animali venivano condotti alla chiesa di Sant’Antonio Abate per compiere tre giri attorno e ricevere la benedizione dal prete. Questo rituale aveva anche uno scopo propiziatorio: esorcizzare il passaggio dell’inverno ed invocare l’arrivo della primavera. Oggi, le maschere di tori e mucche mimano ancora una vera e propria transumanza che attraversa il paese, sfuggendo al controllo del massaro per tentare l’accoppiamento. Il martedì grasso il pupazzo del Carnevale viene bruciato nella piazza, e il fumo del rogo si confonde con il profumo della salsiccia alla brace venduta per strada.
Risale al 1300 invece il carnevale di Cirigliano. Questa volta troviamo il corteo delle maschere dei mesi e delle stagioni che, insieme a preti e pastori, accompagnano “Quaremma” nel corteo funebre che segue la bara del Carnevale. I campanacci richiamano anche qui alla mente la cultura pastorale dei paesi lucani.
Ad Aliano invece, il paese del confino di Carlo Levi, nell’ultima domenica di carnevale è di scena “la frase”, ovvero una rappresentazione sarcastica con riferimenti a fatti e personaggi reali. La maschera Cornuta, tradizionale di Aliano, è un riferimento alla cultura contadina: mutandoni con finimenti di muli e cavalli appesi, cinturoni di crine di cavallo e mascherone di argilla e cartapesta dai grossi nasi e penne di gallo a mo di capelli, sono figure grottesche e diaboliche dall’origine atavica.
Pietrapertosa, deliziosamente incastonata fra le Dolomiti Lucane, ha preservato anch’essa, nel suo isolamento, un’antico carnevale. Il suono della cupa-cupa, durante tutto il periodo di carnevale, segna l’arrivo di gruppi di maschere per la tradizionale questua di dolci e salsicce.
Il martedì grasso i festeggiamenti culminano con il processo al Carnevale che, punzecchiato dal Diavolo con il volto nerofumo e corna caprine, e rimpianto da sua moglie Quaremma, viene inesorabilmente condannato al rogo. La sagra della Rafanata, tortino tipico del carnevale a base di patate e rafano, chiude i festeggiamenti.
Originale invece i riti del carnevale di Satriano, dove le maschere tradizionali sono principalmente ispirate al tema dell’emigrazione. Oltre all’orso, infatti, i personaggi sono l’emigrante arricchito, che ha fatto fortuna altrove ma non si identifica più con la cultura del suo paese, e il romita, il povero paesano che invece è rimasto nella propria terra e, indigente ma felice, si esibisce in un ballo liberatorio.
Il Carnevalone di Montescaglioso, con le sue maschere anticamente realizzate con pelli di animali e juta, oggi con materiali più “attuali”, culmina con la sfilata del martedì grasso. Anticipa la sfilata la maschera della parca, che fa volteggiare il fuso fra la gente. Simbolo dello scorrere del tempo e della morte che si avvicina inesorabile, il fuso crea scompiglio e “paura”. “Quaremma”, vestita di nero, porta in braccio un neonato, mentre la carriola che trasporta il Carnevalicchio serve a raccogliere le offerte. I cucibocca, con i loro spilloni, “invitano” minacciosi all’offerta. Un frastuono di campanacci, simbolo sempre delle antiche transumanze, accompagna il corteo, scacciando la malasorte. In chiusura, il Carnevalone, che silenzioso si lascia trasportare su un asino: la sua ultima ora sta per arrivare, e non ha voglia di parlare.
I piatti della tradizione condiscono questa festa grassa di sapori e ricordi del passato. Molte delle ricette tipiche hanno come base il maiale: i calzoni ripieni di zucchero e ricotta, accompagnati dalle orecchiette, vengono infatti conditi con il sugo di maiale. Oppure un piatto di maccheroni di tutti i tipi: strascinate, maccheroni al ferretto, cavatelli,.. sempre con sugo di maiale, a sottolineare le follie di una festa come il carnevale. Anche il sanguinaccio, dolce cremoso, ha come base il sangue del maiale.
Ritagli irregolari di pastafrolla fritta e spolverati di zucchero al velo sono il dolce della ricorrenza: le chiacchiere, oppure una torta ripiena di ricotta e condita con ciò che c’è a disposizione (cioccolato, polvere di caffè, cannella,…), o le classiche castagnole.