Guerra in Ucraina, Basilio Gavazzeni: “Mentre il conflitto si slarga”. Di seguito la nota integrale.
Chi risolleva le palpebre di un bambino morto?
Ricostruiremo tutto dichiara con fierezza un’anziana ucraina guardando la sua città uccisa. L’imponenza delle distruzioni trattiene l’osservatore realista dal calcolare le risorse e il tempo necessari alla ricostruzione. Inevitabile pensare alla moltitudine di uomini che, per decenni, dall’alba al tramonto, costruirono quel che gli invasori hanno infranto o, addirittura, spianato. Nel romanzo Stalingrado di Vasilij Grossman, appena giunto in libreria, per conto di Adelphi Edizioni, a pagina 507, c’è una riflessione cui non possiamo sottrarci tra le rovine e i massacri attuali: … Enorme, la città si spegneva tra il fumo, la polvere e il fuoco, nel boato che scuoteva l’acqua e la terra. Lo spettacolo era tremendo, ma ancora più tremenda era la morte negli occhi di un esserino di sei anni schiacciato da una trave di ferro. Perché se esiste una forza capace di risollevare dalla polvere città enormi, non c’è forza al mondo in grado di risollevare le palpebre dagli occhi di un bambino morto.
Mariupol = Termopili o Masada?
Ci era noto dalle scuole elementari e nel 2006 il film hollywoodiano 300 ha fissato nella memoria collettiva che, nel 480 a.C., tal numero di spartani comandati da Leonida si oppose agli invasori persiani al passo delle Termopili e morirono eroicamente, per consentire al grosso dell’esercito greco, in specie agli ateniesi, una difesa efficace. Non è noto, invece, ai più che nel 73 d.C., rifugiatisi a Masada, nella Giudea sud orientale, a 420 metri di altitudine rispetto al Mar Morto, asserragliati in una fortezza inespugnabile sia per l’impervietà del luogo sia per le mura e le torri possenti, zeloti e ribelli sopravvissuti alla distruzione di Gerusalemme resistettero ai romani e, ridotti alla fame, inscenarono un suicidio collettivo. Dio non permetta che i combattenti e i civili serrati nell’acciaieria di Mariupol finiscano alla stessa maniera. E gli Organismi che possono si interpongano.
Economia di guerra e Cina
Il Covid-19, nemico invisibile, con 250 milioni di contagiati e 5 milioni di morti ha già evocato lo spettro di un’economia di guerra. Adesso l’evenienza è reale, se si rinuncia a gas, petrolio, carbone, uranio russi, e per l’interruzione delle forniture di cereali ucraini, il crollo del turismo russo, il soccorso a milioni di profughi e l’innalzamento dei costi per la difesa. Tutti speriamo che il conflitto non si prolunghi. Intanto le sanzioni azzoppano la Russia e la spingono nell’orbita della Cina. Il leader di questa, Xi Jinping, che potrebbe sedare l’incendio, pratica un equilibrismo ambiguo. Conferma il legame con la Russia, ma non può dimenticare i progetti che ha riposto in Ucraina di cui è il principale partner commerciale e dove trova la porta d’accesso all’Europa per la Nuova via della seta. Strano a dirsi, gli opinionisti non segnalano che, nel 2013, la Cina ha acquistato il 9% del terreno coltivabile in Ucraina, più di 29 mila chilometri quadrati nella regione di Dnipropetrovsk, per accaparrarsi grano e altri generi alimentari. Il sibillino Xi Jinping sa che un’economia di guerra assesterebbe un colpo pesantissimo al laboratorio del mondo che è la Cina, e un nuovo assetto mondiale potrebbe non giovarle. Almeno per il momento.
Malvagità russa?
Il lettore del sopracitato Stalingrado di Vasilij Grossman ammira la grandezza dell’Armata Rossa che nel 1942, spontaneamente e in contemporanea all’ingiunzione di Stalin (Non un passo indietro) fermò l’avanzata dei tedeschi hitlerizzati. Però si chiede se gli epici resistenti di Stalingrado non fossero gli stessi sovietici che nel 1940, in seguito al patto Ribbentrop-Molotov con cui Hitler e Stalin si erano spartiti la Polonia, trucidarono 23 mila esponenti dell’esercito e dell’intellighenzia polacchi, affossandone i cadaveri nella foresta di Katyn, dalle parti di Smolensk. E adesso si chiede perché i russi, non solo i ceceni, guerreggino in maniera criminale, al di là di ogni regola bellica, spontaneamente e in contemporanea alla decisione di Putin. Si prova ostinatamente a distinguere a distinguere l’autocrate dal popolo russo, ma poi si constata la falsità e la protervia insopportabili che i comunicatori russi esibiscono nei nostri talk. Cresce l’impressione che non solo Putin, ma l’intera Federazione Russa e gli stessi russi assomiglino meno a Caino che a Lamech, suo feroce discendente (Gn 4,23-24). Lo scrittore moscovita Sergej Lebedev denuncia che l’idea di fratellanza sventolata dal suo Paese è stata un modo per cancellare la soggettività, l’indipendenza e il diritto all’autodeterminazione dell’Ucraina. Ricorda che i grandi della letteratura russa sono sempre stati assai sensibili alla causa della libertà, dei diritti umani e della lotta alla repressione, ma che nel recente passato la cultura ha evitato questi temi. Lebedev è perentorio: In Ucraina oggi vediamo il coraggio, la responsabilità, la solidarietà. In Russia soltanto la profonda negazione della realtà, l’impotenza o la lealtà verso i criminali.
I tempi siamo noi
Forse siamo tra coloro che rimpiangono il passato e imprechiamo contro il nostro tempo. Il filosofo Sergio Givone legge nel Discorso 80 di sant’Agostino: “Sono tempi cattivi, tempi penosi!” si dice. Ma cerchiamo di vivere bene e i tempi saranno buoni. I tempi siamo noi: come siamo noi, così sono i tempi. Givone ritiene rivoluzionaria la visione di sant’Agostino che pone al centro la nostra anima e ci richiama alla responsabilità. Il filosofo spiega questo per la semplice ragione che non c’è niente che non mi riguardi. Chiediamoci allora: che cosa ho fatto io perché quella cosa sia, o non sia, quella che è? L’irresponsabilità spesso va a braccetto con la lamentela.
Preghiera-nonostante.
Olivier Clément, autentica voce dell’Ortodossia che il Patriarca Kirill tradisce, così prega: Fra la Croce e la Risurrezione, nella penombra di un lungo Sabato Santo, lo Spirito suscita fiducia. La tua morte, Gesù, spezzi la forza della morte e faccia zampillare la vita per il mondo. Nella luce ancora incerta, nella luce che tutt’a un tratto ci inonda si apra la porta della tomba, si spezzi il cuore di pietra e la storia trovi senso.
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