L’unica lucana presente nella banca dati online con i profili di cento esperte nelle aree scientifiche, secondo il progetto “100 donne contro gli stereotipi”, è Liliana Dell’Osso, di Bernalda, direttore della clinica psichiatrica dell’Università di Pisa e vicepresidente della Società Italiana di Psichiatria.
La banca dati, realizzata grazie al supporto della Commissione Europea e della Fondazione Bracco, nasce come uno strumento per aiutare i professionisti della comunicazione nella ricerca di fonti femminili competenti, ed è anche una risorsa per chi vuole dar spazio alle voci di esperte autorevoli nei dibattiti scientifici dentro e fuori dai media.
Perché, come ha dimostrato anche il Global Media Monitoring Project 2015 – il progetto di ricerca più longevo sulla presenza femminile nei media – i giornalisti e le giornaliste che riportano il parere di un esperto si rivolgono a un uomo otto volte su dieci.
La selezione delle esperte – la maggior parte delle quali proviene dal mondo dell’accademia – è stata affidata al Centro GENDERS (Gender & Equality in Research and Science) dell’Università degli Studi di Milano, basati su criteri oggettivi, come il numero di pubblicazioni internazionali a cui hanno partecipato e i premi che hanno ricevuto, e su questi dati ha poi operato una selezione di merito, che soddisfa rigidi criteri di valutazione internazionali. Il curriculum scientifico e accademico di Liliana Dell’Osso è una dimostrazione della capacità di una donna di affermarsi in un mondo complesso e difficile, fortemente connotato in senso maschile. Il segreto del suo successo va forse ricercato nelle sue radici familiari. Passione e capacità di sacrificio, determinazione alla lotta nelle circostanze più avverse sono virtù inculcate dai genitori, in particolare dalla madre. Intuito e capacità empatiche, virtù tutte al femminile, sono state altrettanto importanti anche dal punto di vista scientifico, sia per cogliere i temi maggiormente necessari per l’innovazione scientifica, sia per instaurare i fondamentali rapporti di collaborazione senza i quali il lavoro scientifico non potrebbe svolgersi. In ambito extra accademico, nel 2014 è stata la prima donna ad essere nominata Socia Onoraria della Società Operaia di mutuo soccorso di Bernalda, e nello stesso anno ha ottenuto dalla Regione Basilicata il premio internazionale Ester Scardaccione. La prof. Dell’Osso si è meritata questo premio proprio perché la sua carriera scientifica come Professore di Psichiatria, attestata da un ricco curriculum, è stata caratterizzata anche da un costante impegno e significativo contributo per il riconoscimento delle pari opportunità, e dai numerosi studi di medicina di genere, riportati in prestigiose pubblicazioni scientifiche. Membro del Comitato Pari Opportunità dell’Università di Pisa, già nel 2000 prima donna Professore Ordinario di Psichiatria in Italia, nel 2011 è stata la prima donna Presidente della Sezione Toscana della Società Italiana di Psichiatria e infine, nel 2015, prima donna Vice Presidente della Società Italiana di Psichiatria. E dopo L’altra Marilyn – Edizioni Le Lettere – presentato a Matera a marzo, la Dell’Osso ha lavorato ad un nuovo libro scritto con Barbara Carpita “L’abisso negli occhi” che sarà presentato l’11 prossimo a Pisa.
La “storia” della prof. Dell’Osso è sicuramente un esempio per le ragazze lucane e meridionali più giovani.
La mia infanzia – racconta il direttore della clinica psichiatrica dell’Università di Pisa che ha voluto organizzare a Matera le tradizionali Giornate pisane della psichiatria – si è svolta tra le stradine bianche che si snodano all’ombra del grande castello di Bernalda e la penombra della sala del cinema di mio padre, dove trascorrevo lunghi pomeriggi, affascinata dal susseguirsi di immagini e storie raccontate sul grande schermo. I quattro mesi estivi li trascorrevo a Metaponto, museo archeologico a cielo aperto. Cresciuta con quattro fratelli maschi, due più grandi e due più piccoli (conosco tutte le declinazioni dell’amore fraterno) e con una sorella più piccola, accantonai le bambole assai prima delle mie compagne di scuola a favore della cura di un fratellino di dieci anni più giovane, ben più gratificante. In una famiglia così numerosa, se nascevi figlio di mezzo e per di più donna, in quegli anni ‘50 a volte ti sentivi quasi invisibile e avevi l’impressione che nessuno fosse particolarmente interessato alle tue idee: durante il pranzo, era quasi impossibile guadagnare un momento di visibilità. Ho deciso di intraprendere una strada allora piuttosto fuori tendenza, per una ragazza, e per giunta del Sud: quella degli studi in medicina. In realtà al Liceo mi ero appassionata al greco, e confesso che l’idea di studiare lettere all’Università di Bari, come tutti quelli che avevo accanto mi consigliavano e come facevano le altre ragazze di buona famiglia, mi abbia tentata. Ma a diciassette anni avevo già compreso che volevo altro. E così, complici i genitori che mi hanno sempre supportato – e specialmente mia madre, che mi ha sempre spronato a lottare – i fratelli affettuosi e sempre presenti, e soprattutto la sorella, ho raccolto le mie forze e ho deciso di partire per studiare medicina a Pisa. Cervello in fuga ante litteram! Come tanti ragazzi del Sud, privilegiati dell’emigrazione, molto forte in quegli anni ’70: noi non andavamo a lavorare alla catena di montaggio in una fabbrica di qualche grande città del Nord o all’estero, noi andavamo a studiare. Fuori dall’ambiente protetto e amorevole come quello familiare, avrei dovuto farmi spazio in quel magma di studenti, assistenti, professori che vedevo affrettarsi per i corridoi della scuola, alcuni in borghese, altri col camice, passandoci accanto come se fossimo invisibili, e che a me sembravano già tutti professionisti esperti, con i quali mai avrei potuto reggere il confronto. Ho pensato che non ce l’avrei mai fatta. Ma la rinuncia per me non era contemplabile. Qualunque esito mi aspettasse, ci avrei provato, con tutte le mie forze. Mentirei se dicessi che è stato facile. Ero sola, in una città dove non conoscevo nessuno. Certo, avevo il supporto e i saggi consigli dei miei familiari, ma nell’ambiente che avevo scelto avrei potuto contare solo sulle mie forze. Ricordo la sensazione di isolamento perché molti studenti, pisani o provenienti da città vicine, già si conoscevano tra loro e facevano gruppo. E così, buttandomi sullo studio, ho scoperto la soddisfazione di essere lodata dal professore dopo un esame andato particolarmente bene. Ho scoperto, che, come alla tavola della mia infanzia, la gente mi avrebbe ascoltata. Col tempo, tra i compagni di corso ho scoperto amici che condividevano i miei sogni a cui ancora oggi sono legata da grande affetto. E a poco a poco, ho scoperto che a Pisa non c’era solo la Scuola Medica, nonostante fosse e sia ancora adesso quello il principale fulcro della mia attenzione. Una volta laureata, mi sono buttata a capo fitto nell’ambiente della Clinica Psichiatrica. Ho lavorato sodo, e ho avuto la fortuna di avere grandi maestri e colleghi come il prof. Sarteschi, il prof. Cassano, il prof Placidi, il prof Conti, che mi hanno supportata e spronata. La Clinica Psichiatrica, sin da specializzanda, è diventata la mia seconda casa e lo è tuttora, anzi, è quello l’ambiente che mi identifica e in cui sento di potermi esprimere pienamente. Ho sempre voluto dire la mia, e le ricerche a cui mi sono dedicata erano spesso, nel momento in cui partivano, contro tendenza. Da giovane ricercatrice presi parte allo “Spectrum Project”, un progetto internazionale partito nel 1995 da Pisa e Pittsburgh, inizialmente guardato con scetticismo e adesso divenuto un caposaldo. Da qualche anno, sto lavorando per estendere questi concetti anche allo spettro autistico. E sono fiera di aver dato il via, all’istituzione di un Congresso Internazionale, che si svolge annualmente dove si discutono i temi clinicoterapeutici più innovativi. Il nome, che ha mantenuto anche quest’anno, pur in trasferta a Matera, è Giornate Pisane di Psichiatria e Psicofarmacologia Clinica.
Nov 07