In una circolare il Ministero della Salute indica le categorie da sottoporre al test: operatori sanitari, ma anche residenti nelle Rsa e strutture per lungodegenti, chi vive in ambienti chiusi, chi ha una infezione respiratoria, malati fragili. In alcuni casi bisogna avere sintomi. Ecco chi avrà la priorità.
Tamponi ai casi sintomatici e ai loro contatti a rischio, a tutti coloro che sono in ospedale con una infezione respiratoria, a coloro che con lo stesso problema si trovano in residenze per anziani (Rsa) o in strutture per lungodegenti. Non solo, il test va fatto anche molte altre categorie: operatori sanitari esposti, operatori di servizi pubblici essenziali anche con sintomi lievi, lavoratori di Rsa asintomatici, persone fragili a causa di patologie croniche o comunque gravi come il cancro, e “individui sintomatici all’interno di comunità chiuse, per identificare rapidamente focolai e garantire misure di contenimento”. Infine, nelle aree dove la diffusione del virus non è ancora limitata, e se ci sono risorse, il test è consigliato anche per tutti i pazienti con una infezione respiratoria.
Il ministero alla Salute ha scritto una nuova circolare sugli strumenti diagnostici da utilizzare per scoprire la presenza del coronavirus. Le categorie indicate sopra sono quelle considerate, tutte allo stesso modo, prioritarie quando si tratta di fare il tampone. Con l’aiuto degli esperti del Comitato tecnico-scientifico della Protezione civile è stato fatto anche l’esempio degli esami affidabili e di chi li produce, oltre a indicare i laboratori di riferimento per le analisi.
Premessa della circolare è che la malattia si muove velocemente e che c’è una “disponibilità limitata di test a livello internazionale”. Per il Comitato “un elemento critico è rappresentato dalla ripetuta segnalazione di carenze nella disponibilità di reagenti necessari per l’esecuzione di questi test, che potrebbe in futuro acuirsi vista l’elevata domanda internazionale”. In più, come ha detto l’Oms, bisogna anche fare in modo che i laboratori non interrompano l’attività per altre patologie perché messi sotto pressione dal Covid-19.
C’è poi un passaggio sui test sierologici, che funzionano in modo diverso dai tamponi e tra l’altro prevedono il prelievo di una goccia di sangue e non l’utilizzo di una sorta di cotton fioc da strisciare nella faringe e nel naso. Molte Regioni hanno iniziato ad usare gli esami sierologici anche per fare una prima diagnosi, poi da confermare comunque con il tampone quando ci si trova di fronte a una positività. Ebbene, nella circolare si dice che i test sierologici “sono molto importanti nella ricerca e nella valutazione epidemiologica della circolazione virale”. Cioè sono in grado di dire chi in passato, magari inconsapevolmente è stato infettato dal virus, però “come raccomanda anche l’Oms, per il loro uso nell’attività diagnostica dell’infezione necessitano di ulteriori evidenze sulle performance e sull’utilità operativa. In particolare secondo la Cts non possono sostituire il test molecolare basato sull’identificazione di Rna virale dai tamponi nasofaringei”.
Tornando al test diagnostico con il tampone, va riservato “prioritariamente ai casi clinici sintomatici/paucisintomatici e ai contatti a rischio familiari e/o residenziali sintomatici, focalizzando l’identificazione dei contatti a rischio nelle 48 ore precedenti all’inizio della sintomatologia del caso positivo o clinicamente sospetto”. Inoltre “l’esecuzione dei test va assicurata agli operatori sanitari e assimilati a maggior rischio, sulla base di una definizione operata dalle aziende sanitarie, tenute ad effettuarla quali datori di lavoro”. Inoltre si consiglia, quando è possibile organizzarsi, di fare gli esami a cittadini che si presentano in macchina, come già avviene in alcune Regioni, attraverso i finestrini.