Esaurita la fase di rodaggio della nuova giunta regionale, è tempo, se non di fare un primo bilancio, quanto meno di cogliere le linee di tendenza che emergono da questo primo scorcio di legislatura. Il tema della sanità, che caratterizzò anche la scorsa consiliatura regionale, resta un osservato speciale per il peso che ha sul bilancio della Regione e per le inevitabili ricadute che determina sulla qualità della vita delle persone. Abbiamo criticato la riforma voluta dalla giunta Pittella giudicandola poco ambiziosa: oggi possiamo dire che la direzione intrapresa dalla giunta Bardi in questi primi sei mesi non appare dissimile dalle poco edificanti esperienze del passato.
Permangono, infatti, i limiti di un’azione riformatrice tutta incentrata sulla organizzazione delle strutture e sulla distribuzione degli incarichi, questi ultimi attribuiti non sempre con la necessaria ponderazione, mentre restano nell’ombra i bisogni concreti di salute di una società in rapido invecchiamento. Permane, in sostanza, l’assenza di una programmazione e di una visione riformatrice di lungo periodo; carenze che caratterizzano, peraltro, anche altri ambiti della politica regionale, col risultato che si va affermando un modello di governo imperniato sulla gestione delle emergenze e sulla mera quadratura contabile.
Il deficit di programmazione ha però effetti deleteri su ambiti di particolare complessità, come è quello sanitario, dove anche le più lodevoli (sulla carta) intenzioni riformatrici debbono misurarsi con la domanda di salute dei cittadini e con una geografia che rende accidentata e dispendiosa la mobilità interna e costringe le famiglie a veri e propri pellegrinaggi sanitari. Due aspetti, questi, scarsamente considerati anche dalla riforma Pittella che ha prodotto un generale scadimento della qualità della medicina territoriale e un accentramento progressivo dei servizi nei grandi nosocomi regionali.
La filosofia dell’accentramento non ha prodotto i risultati sperati ma ha provocato un impoverimento dei presidi territoriali, ha svalutato le professionalità, spesso premiando più la fedeltà a certe cordate politiche che la professionalità, e ha scaricato sui bilanci delle famiglie il costo di una razionalizzazione che ha debilitato in modo grave il già fragile corpo della sanità lucana. Dopo sei mesi di governo ci chiediamo: come intende intervenire la nuova giunta regionale?
Oggi abbiamo una rete ambulatoriale che senza supporto ospedaliero è sostanzialmente una scatola vuota, incapace di rispondere con qualità e tempestività ai bisogni di salute dei cittadini e di intercettare la domanda di salute delle regioni limitrofe. Allo stesso tempo continua a mancare la saldatura, da noi auspicata, tra socio-sanitario e socio-assistenziale, che sono rimasti due mondi separati ma in conflitto. Da dove ripartire, dunque, per una sanità a dimensione di cittadino?
La nostra idea è che occorra rimettere al centro i territori e le persone rovesciando la logica dell’accentramento che alla fine ha prodotto deresponsabilizzazione e un’effimero equilibrio finanziario. Mettere al centro i territori significa rivalutare i piccoli presidi ospedalieri, non per giustificare antimoderne campagne di campanile, ma per costruire una rete diffusa di piccoli ospedali ad elevata specializzazione in grado di offrire servizi di eccellenza, di attrarre l’utenza transfrontaliera e di frenare l’emigrazione sanitaria verso altre regioni.
Mettere al centro le persone vuol dire valorizzare il lavoro di chi opera nel sistema sanitario, premiando il merito, ma anche immaginare un percorso di cooperazione interregionale che arrivi alla costituzione di una scuola medica regionale per la formazione delle professionalità della sanità futura. Mettere al centro le persone significa, soprattutto, ripartire da una lettura appropriata e non superficiale dei mutamenti sociali in corso nella nostra regione.