“Si sottoscriva un Patto sociale regionale per la salute che punti sull’avvio di procedure concorsuali per rimpinguare gli ormai esangui organici delle aziende ospedaliere e sanitarie della regione e per assicurare la tenuta dei servizi garantendo ai cittadini la riduzione dei tempi di attesa per l’accesso alle prestazioni di diagnostica e specialistica ambulatoriale attraverso l’individuazione di soluzioni organiche e condivise sulla base del piano regionale per le liste di attesa e con il coinvolgimento del personale sanitario”.
È questa la proposta lanciata dalla segretaria generale Fp Cgil Potenza Giuliana Scarano all’incontro promosso dalla Funzione pubblica Cgil “La sanità che vogliamo. Lavoro, diritti, salute” che si è svolto oggi al Museo provinciale di Potenza e al quale sono intervenuti il ricercatore dell’Università di Urbino Nicola Giannelli, l’assessore regionale alla Sanità Rocco Leone, il segretario generale Cgil Basilicata Angelo Summa e la segretaria nazionale Fp Cgil Serena Sorrentino.
“È necessario – afferma Scarano – che la Regione Basilicata, in conformità a quanto previsto dal contratto collettivo nazionale del lavoro sulla sanità 2016-2018, emani linee generali di indirizzo per lo svolgimento della contrattazione integrativa finalizzate al rafforzamento degli strumenti di sviluppo delle risorse umane come elemento per il miglioramento dell’organizzazione e della qualità del servizio, stanziando risorse aggiuntive per il personale”.
L’iniziativa nasce per fare il punto a quarant’anni dall’istituzione del Servizio sanitario nazionale e rilanciare la vertenza sulla sanità in Basilicata, “in una fase in cui si stanno materializzando tutte le storture determinate dalla legge 2 del 2017 con la quale – precisa Scarano – si è dato corso a un riordino del servizio sanitario regionale che come Cgil abbiamo da subito avversato. L’accorpamento al San Carlo degli ospedali di base, caricando l’azienda ospedaliera regionale di compiti impropri, sottrae energie in termini di personale e fondi all’implementazione dei servizi di alta specialità. Un vero e proprio corto circuito che rischia di portare la sanità lucana a toccare le sue punte di massima involuzione”.
La Basilicata si classifica al penultimo posto nel saldo della migrazione sanitaria pesato per il numero di residenti, solo prima della Calabria. La migrazione passiva costa alla Basilicata oltre 100 milioni di euro e nel 2017 la migrazione sanitaria attiva si riduce di 4 milioni di euro rispetto al 2016, mentre aumenta quella passiva, con un saldo negativo di circa 40 milioni di euro.
Aggiunge Scarano: “Impegnarsi per un modello di sanità avanzata significa contribuire a creare una società coesa, in cui la tutela della salute sia un diritto legato alla persona e non un’opportunità di lavoro o alla condizione dei singoli. E questo passa inevitabilmente dalla valorizzazione di tutte le professioni sanitarie, amministrative e tecniche che svolgono quotidianamente il proprio lavoro”.
Il Rapporto sanità 2019 segnala una riduzione del personale sanitario in Italia in media pari al 6,6%, che in Basilicata si traduce in oltre mille operatori in meno su 7000. “Una vera e propria emorragia – riprende Scarano – che, se intersecata all’età media che supera i 50 anni, dimostra tutta la drammaticità della situazione. Anche in Basilicata si fanno rientrare in servizio medici in pensione a fronte di un contratto della dirigenza del sistema sanitario nazionale fermo da undici anni, con carriere bloccate per la mancata esigibilità del contratto in tema di incarichi e fondi contrattuali”. A ciò va aggiunto un dato forse troppo sottaciuto: “I professionisti della sanità lucana sono tra i meno pagati d’Italia, pur garantendo un servizio di altissima qualità. In situazione di cronica carenza di personale la retribuzione lorda media è di quasi 2.201 euro in meno della media nazionale”.
Afferma il segretario generale Cgil Basilicata Angelo Summa: “Se la sanità vive un momento di difficoltà è per due motivi: lo squilibrio di risorse che il sud riceve in meno rispetto al nord, secondo un meccanismo di ripartizione che non guarda l’indice di povertà delle regioni, e una classe dirigente regionale che non ha visione programmatoria. Non basta che l’assessore regionale alla Sanità faccia l’elenco dei giorni di lista di attesa in radiologia: non è un cittadino qualunque, ha lui la responsabilità di risolvere quelle criticità, non raccoglierle e raccontarle. Sono tre mesi che è assessore alla sanità”.
Sottolinea il segretario regionale: “Non è la facoltà di medicina che risolve i problemi della sanità lucana. Al contrario, assorbendo le risorse del fondo sanitario, le sottrae alle già poche risorse impegnate per garantire il diritto alla salute. Bisogna partire dal piano sanitario quale strumento di programmazione, basandosi sui bisogni del territorio e su questi riorganizzare la governance della sanità. Non possiamo pensare di tenere in capo al San Carlo tutti i presidi sanitari della provincia di Potenza (Lagonegro, Melfi, Villa d’Agri). Occorre riorganizzare la rete ospedaliera territoriale partendo dai bisogni di salute, ridando una chiara missione agli ospedali territoriali a partire dal potenziamento della rete emergenza urgenza, elemento più importante per garantire il diritto alla salute. Bisogna rafforzare la connessione di rete e la diagnostica, ma anche decidere se avere due aziende provinciali, Potenza e Matera. La sanità lucana – conclude Summa – è patrimonio di diritto alla salute, di sviluppo e occupazione, con i suoi 15mila addetti. La sanità lucana ha bisogno di programmazione, confronto e leggi condivise, non di spot che possono solo peggiorare le condizioni del sistema sanitario regionale e chiediamo ai direttori generali di programmare, organizzare e non legittimare la propria funzione con spot demagogici all’esterno, come sta accadendo nel silenzio assordante dell’assessore Leone e del presidente Bardi: il rischio è il commissariamento”.
“Il grande tema – dichiara Serena Sorrentino – è la questione del riequilibrio delle risorse che arrivano a livello regionale, insieme ai tagli che il governo sta effettuando sulle spese del personale, che equivale a un terzo del Fondo sanitario nazionale, e alla privatizzazione del settore verso la quale di fatto ci si sta orientando. La programmazione della sanità deve essere sottratta alla politica e alla nomina dei dirigenti, rispondendo solo alle logiche oggettive e all’interesse generale. Serve un nuovo patto per la salute che tenga dentro il personale, che va valorizzato e incentivato. Dobbiamo decidere se vogliamo salvare il sistema sanitario nazionale oppure no. Noi vogliamo difenderlo e per questo continueremo con la nostra mobilitazione”.