Test biochimici epatici. E’ il tema scelto dal dottor Nicola D’Imperio, gastroenterologo materano di chiara fama, per il 118° appuntamento del nostro studio medico virtuale all’interno di SassiLive.
Sono comunemente definiti “test di funzionalità epatica”, ma il termine più proprio è quello di test biochimici epatici, in quanto alcuni di essi, come le transaminasi e le fosfatasi alcaline non indicano lo stato delle funzioni del fegato, ma piuttosto la sofferenza della cellula epatica. Questi test hanno la potenzialità di identificare una malattia del fegato, di distinguere tra i vari tipi di malattia, di valutarne la severità e la progressione, di monitorare la risposta ad una determinata terapia. Nessun test può accuratamente definire la totale capacità delle funzioni epatiche in quanto essi misurano solo una parte delle centinaia di funzioni del fegato, inoltre spesso questi mancano di specificità e sensibilità per un determinato danno epatico, quello che può avere valore è una batteria di test. Una di queste che è la più utile nell’inquadrare una malattia del fegato comprende esami che studiano alcune funzioni quali l’albumina, il tempo di protrombina, la bilirubina totale e frazionata, ed altri che sono lo specchio del danno dell’epatocita (la cellula epatica), come le transaminasi SGOT (transaminasi glutammico ossalacetica) e SGPT (transaminasi glutammico piruvica) chiamate poi rispettivamente ALT (alanina aminotrasferasi) e AST (aspartato aminotransferasi), altri ancora sono il segno di un ostacolato deflusso della bile, come le fosfatasi alcaline e le gammaGT (gamma glutamin transpeptidasi) o la 5’NT (5 nucleotidasi). Questi test andranno interpretati insieme ad una accurata anamnesi del paziente. Analizziamo ora i singoli test.
Bilirubina
E’ il prodotto di catabolizzazione, cioè di distruzione, dell’emoglobina dei globuli rossi ormai invecchiati e che non possono più esplicare le loro funzioni, essa entra in circolo, di dove passano nella cellula epatica libera, non coniugata ad alcuna proteina e quì viene coniugata con acido glucuronico (ad opera di un enzima, la glucuronil trasferasi) e quindi eliminata dal polo biliare dell’epatocita, riversata nei canalicoli biliari, nelle vie biliari e infine nel piccolo intestino dove servirà per l’assorbimento dei grassi; una parte verrà trasformata dalla flora batterica intestinale in urobilinogenoche in parte verrà eliminata con le feci a cui darà la colorazione tipica, in parte verrà riassorbita, ripasserà dal fegato e verrà nuovamente eliminata sotto forma di bilirubina. E’ chiaro, a tal punto che un aumento della bilirubina non coniugata con acido glucuronico, o indiretta, è indice di aumentato catabolismo dell’emoglobina (come si può avere in alcune malattie che portano ad una distruzione, o ad una vita più breve dei globuli rossi, o emolisi), oppure di una incapacità dell’epatocita a coniugare la bilirubina con acido glucuronico per immetterla nell’intestino. Se invece in circolo ci sarà un eccesso di bilirubina coniugata, vuol dire che è ostacolato lo scarico della bilirubina coniugata nell’intestino e questa rigurgita così nel sangue e nei tessuti (per esempio se un calcolo chiude il coledoco, cioè il tubicino che porta la bile dal fegato all’intestino). In ogni caso la bilirubina si depositerà in tutti i tessuti, quindi la cute assumerà un colorito giallastro, la congiuntiva è una delle più sensibili ed evidenti e “gli occhi diventano gialli”, una parte sarà eliminata con le urine a cui la bilirubina darà una colorazione scura, al contrario, diminuendo la quantità di bile riversata nell’intestino, le feci, il cui colore è determinato dall’urobilinogeno (derivato della bilirubina), invece, diverranno di colorito più chiaro, come il colore dell’argilla, si definiscono cretacee. Sintomo tipico dell’aumento della bilirubina nel sangue e quindi nella cute, dove si deposita, è il prurito per l’azione irritativa della stessa sulle terminazioni nervose sensitive periferiche.
Le Transaminasi (ovvero SGOT o AST, oppure SGPT o ALT)
Sono il segno più sensibile di un danno dell’epatocita in cui si ritrova nel citoplasma e nei mitocondi dove hanno il compito di produrre alcuni aminoacidi della catena proteica e, con la morte della cellula, questi enzimi si riversanoin circolo aumentando in funzione del danno subito. Ma questi enzimi non si ritrovano solo nel fegato (dove hanno le concentrazioni maggiori), ma anche (in ordine decrescente) nel muscolo cardiaco, nei muscoli scheletrici, reni, cervello, pancreas, polmoni. Ma la SGPT, o ALT, ha la più alta concentrazione in assoluto nel fegato per cui è un indicatore più specifico di danno epatico. In genere i valori base nel sangue sono di 30 U\L per l’uomo e 19 U\L per la donna. Le variazioni che ci sono tra i vari laboratori sono il risultato delle caratteristiche tecniche della strumentazione. Valori delle transaminasi al di sotto dei range di laboratorio non hanno alcuna rilevanza clinica.Nelle patologie acute, come nelle epatiti acute virali o tossiche, o nelle ostruzioni acute delle vie biliari, i valori delle transaminasi possono superare di gran lunga le 1000 U\L. Il rapporto SGOT\SGPT può essere utile in alcune epatiti, infatti un rapporto superiore a 2 sembra essere indice di intossicazione alcolica del fegato, mentre nelle epatiti virali o nelle steatosi epatiche è inferiore a 1. Nelle steatosi epatiche croniche, come quelle secondarie a squilibri del metabolismo dei grassi, la sofferenza dell’epatocita è molto più contenuta di quella in caso di epatiti virali, o alcoliche, o tossiche e quindi il valore delle transaminasi raramente supererà le 100 U\L. Le transaminasi sono un indice di valutazione validissimo sia nel seguire l’andamento di una determinata epatopatia, sia la risposta alla terapia.
Biografia di Nicola d’Imperio
Titoli di carriera
Laureato in medicina e chirurgia nel 1972 con 110 e lode
Specializzato in Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva nel 1978 con 110 e lode
Assistente presso il Servizio di Gastroenterologia dell’ospedale Bellaria di Bologna dal 1974 al 1987
Aiuto presso il Servizio di Gastroenterologia dell’ospedale Bellaria di Bologna dal 1988 al 1998
Primario presso l’UOC di Gastroenterologia dell’ospedale Morgagni di Forlì dal 1998 al 2001
Professore presso la scuola di specialità di Gastroenterologia di Bologna dal 1998 al 2006
Primario presso l’UOC di Gastroenterologia dell’ospedale Maggiore di Bologna dal 2001 al 2012
Libero professionista in Gastroenterologia dal 2013 a tutt’oggi presso la Clinica Villalba di Bologna, la Clinica Anthea e la Clinica Santa Maria di Bari e presso il suo studio a Matera.
Titoli scientifici
Direttore della Rivista Italiana di Gastroenterologia organo ufficiale dell’Associazione Italiana dei Gastroenterologi Ospedalieri
Segretario per l’Emilia Romagna dell’Associazione Italiana dei Gastroenterologi Ospedalieri
Presidente per l’Emilia Romagna della Società Italiana di Endoscopia Digestiva
Presidente della Associazione Italiana Malattie dell’Apparato Digerente
Pubblicazioni scientifiche:su riviste straniere 78 e su riviste italiane 124 libri di gastroenterologia ed endoscopia digestiva 12
Indirizzo sito: www.nicoladimperio.it