Michele Cataldi di Sanità Futura interviene con una nota nel dibattito avviato nei giorni scorsi sulle liste di attesa. Di seguito la nota integrale.
Il dibattito sulle liste di attesa, nonostante l’impennata di attenzione delle ultime settimane per le encomiabili iniziative di parte sindacale e politica ed alcune proposte certamente utili emerse, rischia di non centrare la causa “geneticamente responsabile” della sanità lucana, di cui le liste di attesa sono il risultato più evidente. Per noi l’obiettivo primario dovrebbe essere quello di rendere le strutture sanitarie erogatrici di prestazioni e servizi (tutte, pubbliche e private) attrattive per un’utenza più ampia di carattere extraregionale.
Non si può pensare che sia sufficiente curare la febbre ad un paziente senza curarne anche l’infezione che la genera, al pari non sarebbe sufficiente estendere l’orario di attività di poliambulatori e strutture pubbliche e private se non per raggiungere un primo, parziale e temporaneo traguardo.
Ho letto dati, in questi giorni, già largamente conosciuti sul nostro saldo passivo di mobilità interregionale e dati altrettanto conosciuti che riguardano i saldi attivi di alcune regioni “virtuose” italiane. Saldi di miliardi questi ultimi, che giustificano il mantenimento di strutture che altrimenti in quelle regioni avrebbero dovuto chiudere se fondato solo sul volume delle rispettive popolazioni. Abbiamo un’idea di quanti posti di lavoro invece riescono a mantenere grazie al saldo attivo di mobilità sanitaria?
Hanno puntato su cosa, sul frenare la migrazione sanitaria passiva? Davvero qualcuno pensa che si possa azzerare la libera circolazione di cittadini o peggio di pazienti, ancor di più oggi che addirittura si sono stabiliti principi e regole europee? È chiaro che quelle regioni “virtuose” hanno puntato sull’altro piatto della bilancia. E questo implica che hanno curato infezioni e febbre, hanno rimesso in piedi il paziente allettato, lo hanno guarito e poi si, lo hanno messo al lavoro. Hanno puntato sull’efficienza non solo tecnica e professionale ma anche su di quella organizzativa e poi si, l’hanno anche fatta percepire all’esterno. Hanno scelto di adottare un piano strategico che funziona, fondato su qualità tecnica e tecnologica, organizzativa e percepita, ma soprattutto hanno puntato a conquistare risorse extraregionali. In sintesi, hanno puntato sulla mobilità in entrata, quella attiva, ed il saldo “magicamente” ha premiato la scelta.
Per non fermarsi ad un parziale e temporaneo risultato, che pure è utile in tempi di carestia, dovremmo saper cogliere le opportunità “storiche” che non dureranno in eterno e che riguardano l’intero sistema sanitario regionale (pubblico e privato). Opportunità queste, che si tradurrebbero in grandi benefici in primis per le entrate (annullando l’impatto negativo segnato dalla “migrazione sanitaria”) e poi subito per la nuova occupazione che di questi tempi è un obiettivo che deve riguardarci tutti. Abbiamo quindi un disperato bisogno di rapide micro riforme che abbiano una strategia vincente e che producano macro risultati.
Le opportunità “storiche” cui facciamo riferimento si riferiscono alla situazione determinata dal commissariamento della sanità in Campania e dal “piano di rientro” per la sanità in Puglia che equivalgono a tagli (in alcuni casi con l’accetta) di prestazioni e servizi per l’utenza campana e pugliese, vale a dire quella più vicina a noi. E’ qui il vero significato della nostra ricetta che evidentemente non è stata ancora compresa da forze politiche, sociali ed istituzioni nella sua compiutezza e nella sua profonda novità.
Quattro Torri, intese come strutture delocalizzate rispetto al centro della regione, per azzerare il saldo passivo non la migrazione, attraverso l’attrazione di nuova utenza extraregionale. Questa ricetta si fonda sulla presa in carico di un problema più grande che richiede un approccio interdisciplinare e fatto di reale semplificazione amministrativa. Si pensi alla possibilità di configurare le strutture in modo da offrire servizi e prestazioni sanitarie “all in day”, in un solo giorno, per il diabete, per l’ipertensione, per la menopausa, per la sindrome tiroidea e per tantissime patologie a larga diffusione sociale che sono poi quelle a più alto rischio di complicanze. Allora si che il mix tra tecnologia, competenze e organizzazione incontrerebbe i veri bisogni delle persone e risulterebbe perciò attrattivo perché capace di dare risposte veloci ed efficienti. Allora si che la prevenzione avrebbe un valore perché messa in pratica eviterebbe attese inutili e costose degenze ospedaliere.
Mentre ribadiamo la nostra disponibilità alle prestazioni sanitarie by night, o nei giorni festivi, pensiamo che ormai sia matura la necessità di un tavolo unico con tutti i soggetti sociali in campo – sindacati, Asp e Asm, Regione, associazioni della sanità privata accreditata, organizzazioni di tutela degli – per un confronto, scevro da preconcetti che non hanno alcun senso e per individuare un cronoprogramma di azioni da mettere in atto velocemente. Le azioni devono riguardare tutte le risorse umane e professionali, le strutture e le capacità di cui il sistema sanitario regionale nel suo complesso dispone, nella consapevolezza che non esistono “frontiere regionali” e che l’utenza da attrarre vive a soli pochi chilometri dalle nostre strutture senza barriere da superare se non quelle che noi costruiamo. Ci associamo quindi a quanti chiedono un confronto costruttivo con il presidente della giunta e con l’assessore e quindi: che confronto sia!
Michele Cataldi, Sanità Futura