Le proposte delle strutture sanitarie private accreditate (una cinquantina di poliambulatori specializzati con circa 600 unità lavorative) perché il CUP (Centro Unico di Prenotazione) funzioni sul serio rispondono alle esigenze di ridurre la “mobilità passiva” che pesa sul bilancio regionale per 40 milioni di euro l’anno, alimentando nuovi flussi di utenza lucana che paga il ticket più alto d’Italia verso altre regioni, di ridurre le liste di attesa che nonostante i passi in avanti delle Aziende Sanitarie sono ancora troppo lunghe e di realizzare l’interazione tra pubblico e privato. Lo hanno sostenuto oggi i dirigenti di Sanità Futura Michele Cataldi e Giuseppe Dimarzio che insieme ad Antonio Mussuto hanno incontrato i giornalisti per illustrare la posizione assunta in tema di CUP.
“E’ da un decennio – ha evidenziato Cataldi – che chiediamo cose semplicissime che normalmente un servizio ICT dovrebbe
assicurare in casi come questo, vale a dire che risponda in modo efficace alle procedure di cui si vorrebbe occupare migliorandone le performance; che sia collaudato nel suo funzionamento; che sia aperto al miglioramento e al dialogo con altri servizi ICT; che sia flessibile rispetto alle necessità degli utilizzatori (quelle generali e non particolari); che offra opportune garanzie di sicurezza contro i rischi di disastro e perdita di dati, di intrusione, di errori e blocchi di sistema, di danni a terzi.
Tra le criticità evidenziate: l’impossibilità per la struttura privata accreditata di operare il download (copia) dei dati di propria pertinenza ai fini di Backup (salvataggio) contro disastri info-telematici, ai fini di elaborazione statistica ed ai fini del rispetto del Codice della Privacy; l’impossibilità per le strutture private accreditate di avere gli stessi livelli di accesso delle strutture pubbliche; l’impossibilità di convertire la prenotazione da regime pubblico a regime privatistico.
I punti di criticità già da noi sottoposti all’attenzione dell’Assessore Martorano meritano un adeguato e pronto recepimento; si tratta di
questioni non certamente irrilevanti al fine di consentire alle Aziende Sanitarie di raggiungere, nell’ambito del Piano Attuativo regionale per il contenimento delle liste di attesa per il triennio 2010-2012, l’obiettivo di ridurre, se non superare con gradualità, i tempi di attesa. Accade ancora che invece di attendere mesi per una mammografia l’esame sia possibile in poche settimane di una struttura privata accreditata. Sanità Futura rivendica perciò la possibilità di programmare in housing le proprie agende, senza così dipendere da meccanismi lenti e macchinosi, sopratutto per poter governare le tendenze di spesa; la possibilità di esportare e importare i files delle agende di prenotazione così da garantire l’interazione con i propri sistemi informatici in economia; la possibilità a prenotare in assenza del codice di impegnativa.
“Il caso della paziente calabrese in dialisi che è stata respinta da una struttura sanitaria della Regione Veneto per complicazioni burocratiche derivanti dal funzionamento del servizio sanitario calabrese e non di quello veneto – ha sottolineato Giuseppe Demarzio – è sintomatico di quanto potrebbe accadere anche nella nostra regione dove non esistono Centri di alta specialità e quindi anche da noi la burocrazia potrebbe avere il sopravvento sul diritto alla salute.
Per questa ragione, il prodotto software progettato e sviluppato per la Regione da un’azienda di settore, la cui manutenzione è stata affidata ad una società (GSI per 135 mila euro più Iva), per scongiurare il rischio di un nuovo caso di spesa inutile, deve consentire alle strutture pubbliche e private di integrarsi tra loro attraverso la rete territoriale esistente così da permettere la piena accessibilità di tutti i servizi, superando scelte già fatte che non possono definirsi semplicemente tecniche, in modo da evitare “passi falsi” in danno di strutture ed utenti.
Abbiamo ritenuto di poter sorvolare – hanno detto i dirigenti di Sanità Futura – sul deficit di coinvolgimento in vista di una puntuale ricognizione dei punti critici riscontrati e di una loro diligente soluzione. Abbiamo, in definitiva, chiesto che si evitasse l’ennesima “proposta” a scatola chiusa, farcita di problemi e imprevisti, per scongiurare inutili complicazioni a utenti e strutture. Per noi l’inserimento delle nostre strutture nel CUP regionale costituisce una funzione che finalmente assegna un senso al fatto che lavoriamo in nome e per conto del Servizio Sanitario Regionale, un senso fortemente simbolico verso quella equiparazione che la legge ci attribuisce ma che la realtà fin qui ci ha negato.