Salvaguardare la salute dei cittadini lucani, evitare una emergenza sanitaria, scongiurare una crisi occupazionale e portare a galla la verità di quanto sta accadendo.L’Unità di Crisi Sanitaria della Basilicata non ha intenzione di fermarsi e continua in maniera salda la sua battaglia nei confronti di chi “non vuole” e non, come si vorrebbe far credere, “non può” tornare indietro sui suoi passi.
Nei giorni scorsi, il “parere pro veritate” redatto da uno studio legale per conto dell’Aspat (Associazione Sanità Privata Accreditata Territoriale) e inviato al presidente Bardi e all’assessore Fanelli, ha messo alla luce delle verità che mettono in evidenza le grandi crepe di un castello di falsi presupposti che man mano si sta sgretolando.
Stiamo parlando della ormai famosa delibera N° 482/2022 del 27 luglio, la delibera regionale dei “tetti di spesa per strutture di specialistica ambulatoriale” stabiliti, per l’anno 2022, in base al criterio del “consuntivo 2014”. Dalla Regione hanno sempre voluto far credere che gli atti la delibera fosse un atto “dovuto”. Ma mai come ora è sempre più evidente che si è trattato di qualcosa di “voluto”.
La Regione ha sempre affermato che la delibera in questione ottemperava ad una sentenza del Consiglio di Stato per la rideterminazione dei tetti di spesa (la n. 8161/2022) e, che proprio in questa sentenza, ci fosse l’obbligo di far riferimento all’anno 2014. Ma il “parere pro veritate” evidenzia che di questo riferimento al 2014, nella sentenza, non c’è traccia.
Diventa, quindi, più che lecito chiedersi il perché di tutto ciò. Il perché di questo riferimento al 2014.
Ma i perché non possono e non devono finire qui. Una volta portata a galla questa verità ci domandiamo – sostiene l’Unità di Crisi Sanitaria – perché la Regione continui a ostinarsi a non ritirarla in autotutela. Anche su questo punto un’altra verità: la Regione ha sempre sostenuto che giuridicamente non vi fossero i presupposti per un annullamento, e invece emerge molto chiaramente dal parare pro-veritate che i presupposti ci sono tutti e di conseguenza non è vero che non può, semplicemente non vuole. Delle gravissime conseguenze di questa delibera ne abbiamo già più volte parlato, abbiamo lanciato allarmi in ogni circostanza e in ogni dove: causano una vera e propria emergenza sanitaria con una immediata crisi occupazionale per centinaia di persone e operatori sanitari.
La vicenda rivela, giorno dopo giorno, sfaccettature sempre più ambigue che non finiscono qui. E che ci impongono, nostro malgrado, a non poter svolgere il nostro lavoro di operatori del mondo sanitario, ma quello di investigatori.
Per questo, mettiamo alla luce anche un’altra questione che inevitabilmente si intreccia a tutto ciò: ovvero i cosiddetti “fabbisogni sanitari territoriali”. Se la Regione “inventa” di sana pianta riferimenti temporali a periodi quanto mai distanti ad oggi (il 2014 appunto) per stabilire i budget per la sanità accreditata, ci chiediamo perché questi non siano definiti su quello che davvero serve ai vari e diversi territori. E quindi, perché non adottare dei criteri basati su fabbisogni veri? Anche riguardo a questo argomento ci sono retroscena ambigui e per nulla trasparenti.
Nel novembre del 2021, infatti, l’Agenas (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali) dedica un “webinar” (ancora online) chiamato “Determinazione dei fabbisogni di specialistica ambulatoriale” al caso Basilicata. In questo evento, a cui partecipa, tra gli altri, anche l’allora Direttore generale del Dipartimento Politiche della Persona della Regione Basilicata, Ernesto Esposito, vengono presentati “i fabbisogni di specialistica ambulatoriale” relativi alla nostra Regione.
I fabbisogni si basano sui dati di una ricerca frutto del lavoro di Crea Sanità, istituto di ricerca legato all’Università di Tor Vergata di Roma, e sono fabbisogni che potrebbero essere effettivamente utilizzati per stabilire budget e tetti.
Tranne che in qualche laconico accenno, di questi fabbisogni, frutto del lavoro di istituto di ricerca di una università, non se ne avuta né divulgazione né tanto meno condivisione con i territori e le strutture sanitarie. Eppure sono fabbisogni che riguardano l’interesse della comunità intera! Questi dati sembrano non esistere quando, invece, andrebbero resi pubblici e quanto meno utilizzati come una base più che concreta per approfondire punti di forza e debolezza ed eventualmente fare delle proposte da parte dei rappresentanti del territorio e anche dei soggetti che si occupano di sanità.
Da qui, è inevitabile pensare che questi dati possano non andare incontro alle “esigenze” di qualcuno. Che mettano in evidenza qualcosa che rispecchia la realtà dei nostri territori ma che questa realtà non si adatti a soggetti che hanno altri interessi, non di certo quelli della salute pubblica.
Ma quanto appena esposto, rimane sullo sfondo, perchè in primo piano è ormai avviato un conto alla rovescia che porterà ad una spaventosa emergenza sanitaria. L’interruzione brusca dell’erogazione di migliaia e migliaia prestazioni è ormai sempre più imminente. E a ciò si aggiunge una contestuale crisi occupazionale, con la perdita di centinaia di posti di lavoro, e si realizzerà per mano pubblica il fallimento di imprese sane.