Parte dalla Basilicata la proposta per una nuova governance del sistema sanitario nazionale. La parola chiave è “sostenibilità” per un modello di gestione delle risorse della sanità che deve rispondere ai bisogni di salute del cittadino oltre che agli equilibri del bilancio. La “Carta di Potenza”, annunciata oggi a Potenza dall’assessore regionale alle Politiche della Persona, Flavia Franconi in un convegno nella Sala Inguscio, è questa: non spacchettare la spesa sanitaria scaricando solo sulla spesa farmaceutica la tenuta del costo assistenziale ma considerare il costo complessivo delle patologie per arrivare a una governance che consenta di contenere le risorse, razionalizzare la spesa e garantire il riequilibrio del sistema.
Una convenzione stipulata con la Regione a titolo gratuito con il Cineca, un Consorzio Interuniversitario, senza scopo di lucro, formato da 70 università italiane, 4 Enti di Ricerca Nazionali e il Miur, ha consentito di “fotografare” la reale incidenza in Basilicata delle più importanti patologie riferite alle malattie autoimmuni, alle disfunzioni metaboliche e all’oncologia. E’ stata monitorata l’evoluzione della malattia per fasce di età e per sesso e sono stati analizzati i costi assistenziali che gravano sul sistema sanitario riferiti alla spesa farmaceutica, ai ricoveri ospedalieri e alla clinica. Comparando i dati, si è visto che il costo complessivo della malattia che grava sul Sistema sanitario regionale non è uguale per tutti e varia tra le Asl e le Regioni. Non solo. La divisione del Fondo sanitario nazionale che tiene conto solo della popolazione e dei costi standard non è equa ma neppure più sostenibile. In questo senso il lavoro e i dati elaborati con il Cineca possono contribuire ad ispirare, per alcuni versi, i criteri di riforma dei sistemi sanitari.
“L’attribuzione delle risorse indipendentemente dai costi che sostiene una Regione – ha spiegato Nello Martini (Aifa), esperto di Attività regolatorie – è un’operazione ragionieristica. Se monitoriamo i pazienti e i costi assistenziali ci accorgiamo come impattano le nuove tecnologie e le terapie più innovative. Un modello di governance che di fatto scompone il percorso assistenziale nella spesa farmaceutica, nella ospedaliera e nella specialistica non è più valido. Non è più proponibile il modello a “sylos budget” in cui ciascuno guarda il proprio tetto ma nessuno ha la regìa dell’intero processo. Il modello avanzato che sperimentiamo per la prima volta in Basilicata può essere testato per una nuova ipotesi di gestione del sistema sanitario nazionale e delle Regioni”.
Diversi e qualificati gli interventi di esperti del settore e rappresentanti della sanità lucana ma anche di altre regioni, nell’ambito di un convegno incentrato sulla sostenibilità dell’intero sistema salute. “La sostenibilità – ha detto il direttore generale dell’Asm, Pietro Quinto – è una scelta molto importante, ma deve essere coniugata con tre principi: scelta, appropriatezza e coraggio. Un sistema si sostiene se ciò che può erogare è appropriato, altrimenti diventa poco sostenibile e spreco”. “La Regione Basilicata – ha detto il direttore generale del San Carlo di Potenza, Rocco Maglietta – pone con coraggio al centro delle proprie politiche la sostenibilità del nostro sistema, e si è attrezzata istituendo un gruppo di lavoro, per immaginare i nuovi modelli organizzativi, da condividere con tutti i rappresentanti del territorio”.
Importante, il contributo del parlamentare e membro della Commissione Affari sociali, Federico Gelli, che nell’annunciare alcune fondamentali novità riguardanti il sistema sanitario con recentissimi emendamenti alla legge di stabilità relativamente al personale sanitario attivate grazie ad un’azione costante a livello romano del presidente della Regione Basilicata Marcello Pittella e dell’assessore Flavia Franconi, ha spiegato che “in alcune Regioni hanno elementi di penalizzazione rispetto ai criteri di ripartizione attuali, che sono incentrati sulla popolosità. All’attenzione del governo nazionale c’è l’ipotesi di nuovi criteri, per trovare meccanismi diversi di perequazione tra una Regione e l’altra. La cosa importante è quelle di continuare la strada della riorganizzazione del sistema”.
Il direttore del Crob di Rionero in Vulture, Giuseppe Cugno, ha affermato che “non si può più perdere tempo: bisogna accelerare ma non dobbiamo dimenticare la centralità del cittadino, che spesso si sente dimenticato”. Le conclusioni sono state affidate al dirigente generale del Dipartimento alle Politiche per la persona, Donato Pafundi. “Stiamo avviando – ha spiegato – una serie di azioni di contenimento e di razionalizzazione dell’intero sistema sanitario regionale. Avvieremo i lavori insieme alle Regioni contermini, nella speranza che si possa rappresentare efficacia di sperimentazioni di buona pratica”.
Michele Napoli, capogruppo Forza Italia: “Siamo fortemente interessati a salvare la Sanità”
La direttiva europea che prevede che anche l’Italia, a partire dal 25 novembre, si dovrà attenere a quanto previsto appunto dalla normativa europea in tema di turni ed orari di lavoro di medici ed infermieri, cioè le ore massime di lavoro settimanale devono essere 48, i turni più lunghi saranno al massimo di 13 ore e dovranno essere garantire almeno 11 ore di riposo, rischia di condurre alla paralisi ampi settori di Asl ed ospedali lucani, specie per quanto attiene ai servizi di emergenza urgenza.
E’ questa l’unanime previsione di sindacati, direzioni aziendali ed esperti del settore. E domani 16 dicembre con l’obiettivo di “salvare il Servizio sanitario nazionale” i medici incroceranno le braccia per lo sciopero generale dell’intera giornata. Per la prima volta si fermano medici di famiglia, ospedalieri e addetti degli ambulatori: il governo cambi registro o il sistema sanitario nazionale muore, dicono i sindacati, questa volta compatti.
E’ innegabile che la Giunta si è fatta trovare impreparata sulla vicenda, alla luce della semplice considerazione che la Direttiva Europea sull’orario di lavoro del personale medico è del 2003 e, pur volendo chiudere un occhio sulla scarsa conoscenza del diritto europeo da parte dei responsabili del Dipartimento Sanità, non si può chiudere anche l’altro al cospetto di una normativa nazionale, quella contenuta nella legge 161 dell’ottobre 2014, con la quale il Paese ha posto rimedio al mancato adeguamento alla direttiva europea e alla conseguente procedura di infrazione intentata dalla Commissione Europea
Con il DDL n° 80 presentato dalla Giunta ed approvato dal Consiglio il 26 novembre si è cercato sostanzialmente di prendere tempo, cioè di far slittare a luglio 2016 l’applicazione della normativa europea sull’orario di lavoro, permettendo così “ ad un comitato tecnico composto da rappresentanti della regione e delle strutture sanitarie regionali” di riorganizzare i servizi sanitari nell’arco temporale che va dal 25 novembre a luglio 2016, questo perché se si applicasse da oggi, come vuole la legge n°161, la disciplina europea sull’orario di lavoro sarebbero a forte rischio molte prestazioni sanitarie in virtù della minore durata dei turni di lavoro svolti dal personale medico e in virtù del maggiore riposo giornaliero cui avrebbe diritto tutto il personale sanitario.
A prescindere dai dubbi di legittimità costituzionale che il Disegno di Legge della Giunta presenta, sia rispetto alla legge nazionale sia rispetto alla direttiva europea, esso si rivelerà ben presto inefficace perché pretende di assimilare la riorganizzazione del Sistema Sanitario Regionale a quella di una azienda qualsiasi.
Purtroppo non è così semplice.
Il sistema sanitario si avvale di professionalità ben definite ed è caratterizzato da ambiti di specializzazione difficilmente modificabili.
Non si può spostare un ginecologo in cardiochirurgia o in emodinamica sulla base di una carenza di organico in cardiochirurgia e di un eccesso di personale in ginecologia, così come avviene in una aziende che produce automobili, dove l’addetto alla verniciatura può con un semplice periodo di affiancamento passare al reparto montaggio.
La soluzione alle carenze di organico che si determinano per effetto dell’applicazione della direttiva europea sull’orario di lavoro non può che essere rappresentata quindi che da nuove assunzioni di personale sulla base delle reali esigenze dei reparti.
Ma c’è di più: l’aspetto più grottesco della vicenda è che la maggioranza di governo non è riuscita a cogliere gli effetti positivi sull’assistenza sanitaria che la direttiva europea sull’orario di lavoro introduce.
I medici sono da anni spesso esposti ad autentiche maratone lavorative che comportano turni di lavoro che, a causa delle continue emergenze, si protraggono per moltissime ore, con il conseguente rischio di erogare prestazione oggettivamente delicatissime in condizioni di stress e stanchezza fisica e mentale.
Una cosa è certa: da stanchi si sbaglia di più!
Una costatazione che non può certo sfuggire ai direttori delle strutture sanitarie lucane che hanno visto negli ultimi anni crescere in maniera esponenziale l’entità dei risarcimenti corrisposti ai pazienti vittime di errori sanitari o di veri e propri casi di malasanità.
Le compagnie di assicurazione si rifiutano di stipulare contratti di assicurazione con gli ospedali proprio perché considerano poco vantaggiosi questi contratti, essendo costrette a corrispondere indennizzi enormemente superiori all’entità dei premi incassati.
E’ questo il motivo per cui le aziende ospedaliere sono state costrette ad accantonare in bilancio risorse dirette a far fronte ai risarcimenti richiesti dai degenti che hanno riportato danni fisici per effetto delle prestazioni cui si sono sottoposti.
Il paradosso è quindi che una cosa oggettivamente positiva, il rispetto di turni più umani da parte degli operatori sanitari e quindi una probabile diminuzione della percentuale di errori sanitari spesso causati da stanchezza e dall’eccessivo protrarsi dell’orario di lavoro, si trasformi, in Basilicata, nel rischio paralisi delle stesse prestazioni sanitarie.
Non per colpa della normativa europea che, come detto, non solo non è recentissima( risale al 2003 e, se vogliamo dirla tutta, ha avuto la prima gestazione addirittura nel 1993, con la Direttiva n° 104 CE adottata dal Consiglio d’Europa in data 23 novembre 1993, quindi ben 25 anni fa) e va incontro alle concrete esigenze di pazienti ed operatori sanitari, ma in virtù della sciatta gestione da parte della Giunta della vicenda relativa alle norme sull’orario di lavoro del personale sanitario, emblematica dello scarso livello di attenzione per la salute pubblica regionale.
La possibilità di derogare al blocco del turn over e quindi di aumentare l’organico dei medici in modo da consentire a questi ultimi più congrui orari di lavoro senza pregiudicare l’erogazione dei servizi sanitari è prevista dallo stesso legislatore nazionale anche per le regioni sottoposte a piani di rientro per deficit sanitario.
La deroga è stata infatti accordata, con decreto del Ministro della Salute del 10 dicembre 2014, alla Campania, che, nonostante presentasse da diversi anni rilevanti deficit sanitari, ha potuto procedere all’assunzione di nuovo personale sanitario.
Perché non l’abbiamo fatto noi, che non abbiamo deficit sanitario e disponiamo di risorse aggiuntive, le royalties del petrolio e dell’acqua, delle quali non dispongono le altre regioni.
Eppure, a prescindere dalla normativa europea sull’orario di lavoro, qualche “ problemino” la sanità lucana lo paventa da tempo, basti pensare al problema delle liste di attesa piuttosto lunghette in Basilicata: Ma c’è di più: lo stesso Ministro della Salute, di concerto con quello dell’Economia,ipotizza l’assunzione di nuovi operatori sanitari( il numero dovrebbe essere compreso tra 3000 e 4000 unità)per far fronte all’emergenza che si verrebbe a creare per effetto dell’applicazione della disciplina europea sull’orario di lavoro.
Mi sia consentita ancora una considerazione: l’età media del personale dirigente del servizio sanitario italiano è più alta della media europea, circa il 50% dei medici ospedalieri ha più di 55 anni.
Favorire il ricambio generazionale del personale medico e consentire a quanti prestano con dedizione la loro attività negli ospedali migliori condizioni di lavoro è una scelta di buon senso e, per dirla con le parole degli economisti, “ una spesa in conto capitale”.
Significa vedere il sistema salute non più come una fonte di spesa bensì come un investimento economico e sociale.
La sanità è senza dubbio uno dei settori nei quali si rincontrano maggiori effetti benefici derivanti dalla ricerca scientifica e dallo sviluppo tecnologico.
Se un medico dovesse curare oggi i pazienti solo sulla base delle conoscenze acquisite durante i suoi studi universitari, probabilmente non riuscirebbe a curare nessuno.
L’aggiornamento è fondamentale, le risorse umane sono strategiche per il settore sanitario e poter contare su personale che si è formato alla luce delle più recenti evidenze della ricerca scientifica consente al sistema sanitario di fare importanti salti di qualità.
Esattamente quello che occorre per riportare i cittadini al centro delle politiche sanitarie regionali.