Summa (Spi Cgil Basilicata): “Basilicata prima in Italia per nomadismo sanitario per ricoveri ordinari. Il Censis conferma le nostre preoccupazioni, servono interventi urgenti se vogliamo salvare la sanità lucana dal baratro”. Di seguito la nota integrale.
“Il nomadismo sanitario per ricoveri ordinari in Basilicata fotografato dal ventunesimo rapporto Censis conferma le nostre preoccupazioni sullo stato di salute del sistema sanitario regionale così come emerso anche dall’indagine condotta dallo Spi Cgil, Il diritto ad essere curati”. Lo afferma il segretario generale dello Spi Cgil Basilicata, Angelo Summa. “Il Censis – prosegue – pone la Basilicata al secondo posto, dopo il Molise, tra le regioni i cui residenti trovano altrove la qualità della prestazione, con il 28,5% di lucani che si curano fuori. Un dato che trova conferma nella nostra campagna di ascolto, dove il 74,5% dei lucani intervistati ha ritenuto che il sistema sanitario pubblico regionale fosse peggiorato rispetto al passato. L’87,9% ha denunciato tempi lunghissimi delle liste di attesa e un terzo (33,9%) ha dichiarato di ricorrere a prestazioni fuori regione. Stando ai dati dello Spi Cgil, i lassi di tempo che intercorrono in Basilicata tra la data di prenotazione e l’effettiva erogazione di una prestazione sanitaria raramente si esauriscono nel giro di un mese (9,4%) e arrivano a superare i sei mesi per circa un quarto dei casi (25,2%).
Anche il Censis conferma questa tendenza – sottolinea Summa – Sono sempre di più i cittadini e le cittadine che rimandando o rinunciano a visite specialiste e indagini strumentali perché le liste di attesa del servizio sono tali da rendere lunghissime le attese e sempre più quelli e quelle che, avendo un reddito medio – alto, si rivolgono direttamente al privato senza nemmeno provare a chiedere un appuntamento al servizio sanitario. Solo il 60,6% delle prestazioni restano nella sanità pubblica o pubblica accreditata, il restante 40% si rivolge al privato puro o non si cura, con una spesa che secondo i dati raccolti dalla Cgil nazionale si attesta nel totale attorno ai 42 miliardi di euro e con un livello medio pro-capite di 624 euro a famiglie, evidenziando enormi differenze territoriali.
Si cura chi può, anche in Basilicata. Non è un caso – aggiunge il dirigente sindacale – che la percentuale di chi ha usufruito del servizio sanitario fuori dalla Basilicata nel rapporto Spi Cgil tende ad abbassarsi tra le persone con una scarsa disponibilità economica per nucleo familiare, al di sotto dei 1000 euro mensili (27,5 %), ed è leggermente più alta per i nuclei familiari che hanno più di 4000 euro mensili (38,7 %). Se poi si pensa che la Basilicata, secondo dati Istat pubblicati qualche giorno fa, è la regione in cui si è persa più popolazione (-7,4 per mille) ed è la prima per tasso migratorio, pari al -6,2 per mille e l’aspettativa di vita è tra le minori in Italia (80,4 anni per uomini e 84,4 anni per le donne), è evidente che servono interventi urgenti se vogliamo salvare la sanità lucana dal baratro”.
Per il segretario generale dello Spi Cgil lucano “siamo nella condizione in cui l’accesso alle cure è negato a causa di scelte politiche sbagliate. Non c’è nulla per l’assistenza ai non autosufficienti, non abbiamo un piano sanitario, non abbiamo un piano assunzionale. Da tempo come Spi Cgil chiediamo che le risorse del petrolio vengano investite nel welfare e nella sanità e non in bonus energetici. Bisogna investire nel personale, nella rete tra medici di continuità assistenziale e 118, che è stato desertificato e dequalificato. Il servizio di emergenza urgenza va oggi potenziato per garantire ai cittadini delle aree interne gli stessi diritti di cura. Le scelte politiche effettuate negli ultimi cinque anni, invece, hanno fatto collassare il nostro sistema sanitario regionale, spostando le risorse dai bisogni dei cittadini al ricorso alla sanità privata. Se la mobilità passiva, che è un diritto, arriva a costare quasi a 70 milioni di euro, vuol dire che non ci si cura fuori regione per un principio di libertà, ma perché costretti a causa della scarsa offerta sanitaria territoriale. La sanità pubblica la manteniamo solo se investiamo risorse.
Occorre aumentare il finanziamento pubblico, oltre a quanto già previsto, di almeno 5 miliardi l’anno per i prossimi dieci anni per garantire il potenziamento dei necessari servizi di prevenzione, ospedalieri e territoriali al fine di garantire l’erogazione uniforme dei Lea, l’accesso equo alle innovazioni e il rilancio delle politiche del personale sanitario che è quello che sta soffrendo di più. Sostenere il percorso di rafforzamento della sanità lucana partendo dalle esigenze delle persone e delle comunità è reso ancora più urgente dallo stato di difficoltà in cui versa la nostra regione, per effetto della mancanza di visione e di programmazione. È giunto il momento – conclude Summa – di garantire un accesso equo e universale alle cure mediche per tutti e tutte”.