Mercoledì 8 maggio 2019 alle ore 12 a Commissione Parlamentare d’inchiesta sul Femminicidio nonché su ogni forma di Violenza di Genere incontrerà gli studenti dell’Ateneo nell’Aula Magna di Via Nazario Sauro a Potenza.
Considerata la rilevanza dell’iniziativa mettiamo in allegato la locandina dell’iniziativa e le Linee programmatiche di lavoro della Commissione d’inchiesta sul femminicidio per la pubblicazione ed ogni utile diffusione.
Linee programmatiche di lavoro della Commissione d’inchiesta sul femminicidio approvate nella seduta n. 3 del 28 marzo 2019
La violenza basata sul genere è un fenomeno sociale strutturale con radici culturali profonde che ancora oggi permeano le relazioni tra uomini e donne anche nel nostro Paese. E’ un fenomeno pubblico, non solo privato, alimentato e determinato dalla disparità nei rapporti di forza tra uomini e donne e che per questo interroga e richiede una risposta forte e chiara dalla politica.
Come è noto, la Convenzione di Istanbul è precisa sulle strategie da attuare per raggiungere l’obiettivo di eliminare ogni forma di violenza e sopraffazione nelle relazioni di genere.
Si tratta delle quattro P, così designate: Prevenire, Proteggere, Perseguire e Politiche. Quest’ultima, asse strategico trasversale per la costruzione di un sistema integrato di raccolta dati e di attività di monitoraggio del fenomeno nelle sue articolazioni nonché di valutazione delle migliori pratiche esperite nei diversi contesti di competenza.
Risulta ora indispensabile per la Commissione, dopo aver fatti propri gli indirizzi e le conclusioni dell’inchiesta della Commissione della precedente legislatura, indagare le misure necessarie per favorire:
– la misurazione quali-quantitativa del fenomeno, la creazione ed il miglioramento di reti di interscambio informativo (tali da indagare le dimensioni reali e multifattoriali del fenomeno);
– l’interoperabilità di funzionamento di diversa competenza disciplinare;
– l’integrazione delle modalità e degli strumenti di intervento tra servizi generali e specializzati pubblici, privati e del privato sociale;
il tutto rispetto a singoli settori di intervento nei quali sono state evidenziate particolari criticità dal lavoro conclusivo dell’inchiesta svolta nella XVII legislatura.
Per una più completa indagine sulle reali dimensioni del fenomeno risulta poi opportuno procedere alla acquisizione di dati statistici relativi alla violenza di genere in tutti i suoi aspetti auspicando in particolare un reale coordinamento tra gli osservatori locali, regionali e nazionali e un sistema di raccolta dati omogeneo ed uniforme, oltre che capillare e diffuso.
La delibera istitutiva, all’articolo 3, comma 9, consente alla Commissione di svolgere la propria attività attraverso gruppi di lavoro, la cui costituzione è demandata, dal Regolamento interno, all’Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi.
La Commissione si avvarrà proprio di tale facoltà con l’obiettivo di indagare nei diversi campi di intervento le criticità individuate.
Primo gruppo di lavoro “Prevenire”.
La violenza contro le donne, come già accennato, è prima di tutto una questione culturale che attraversa tutti gli strati sociali e che trova la propria radice nel permanere dello squilibrio di forza e nella visione asimmetrica esistente dei rapporti tra donne e uomini, che ha origini storiche, ma che continua ad essere riprodotta e rinforzata, in particolare attraverso i messaggi mediatici, ma anche, involontariamente, da agenzie educative come famiglia e scuola. In tal senso le indagini in merito al tema della prevenzione dovrebbero concentrarsi soprattutto sulla rilevazione delle asimmetrie esistenti nei rapporti tra uomo e donna e sul rispetto per le differenze, così come sullo sviluppo di una consapevolezza critica rispetto a quanto è veicolato dai media e, talvolta inconsapevolmente, dalle famiglie, dalle scuole e nei luoghi di frequentazione delle giovani generazioni con riguardo alla popolazione adolescente che, di per sé, approccia ad una fase di costruzione identitaria accompagnata da criticità.
Un primo importante aspetto del quale il gruppo di lavoro intende occuparsi è il tema legato alla comunicazione e ad una cultura rispettosa del genere e della necessità di un superamento di ogni stereotipo e forma di hate speech. In tale ambito una attenzione particolare va ancora riservata ai mass media che, nonostante tanti tentativi, continuano a fare passi indietro (non è indifferente l’età e il know how tecnologico dei nuovi comunicatori, oggi influencer commerciali mascherati da “amici”). Non a caso l’articolo 17 della Convenzione di Istanbul inserisce tra i principali protagonisti del contrasto alla violenza di genere proprio i mezzi di comunicazione. Il gruppo di lavoro vuole in particolare approfondire, da un lato, la questione connessa alla narrazione della violenza contro le donne e la sua rappresentazione in televisione e nei social networks anche al fine di evitare possibili incitamenti all’emulazione, e, dall’altro, il tema della rappresentazione femminile nel vasto mondo della comunicazione, del web, della televisione e delle pubblicità.
Un secondo aspetto è legato alla formazione, da intendersi sotto un duplice profilo: da un lato come formazione universitaria di coloro che per professione nella loro successiva esperienza lavorativa si potranno confrontare con vittime di violenza e, dall’altro lato, come formazione scolastica in senso stretto e quindi coloro che, da educatori, dovranno promuovere e costruire modelli culturali ed educativi orientati ad una corretta e sana gestione delle relazioni e al riconoscimento e rispetto delle differenze.
Più nel dettaglio con riguardo alla realtà universitaria è necessario ricordare che nella relazione conclusiva della prima inchiesta sul fenomeno si riconosce il crescente interesse degli atenei per la tematica del contrasto alla violenza di genere. Ciò che appare opportuno approfondire è l’aspetto legato all’esistenza all’interno delle università di percorsi di valorizzazione degli studi di genere e di conoscenza del fenomeno della violenza contro le donne anche al fine di introdurre nei Repertori nazionali e regionali dei titoli e delle qualificazioni (o formare e aggiornare) le sempre più specifiche figure professionali coinvolte, a vario titolo e nelle diverse postazioni, nella prevenzione e nel contrasto al fenomeno. Oltre all’esistenza di corsi di laurea o di corsi post universitari specifici sui temi della violenza sarebbe opportuna verificare l’esistenza nei corsi di laurea già attivi (da quelli in psicologia, a quelli di giurisprudenza e di medicina…) di modelli di insegnamenti ad hoc di tipo specialistico.
Con riguardo invece al secondo aspetto, ovvero quello della formazione scolastica, l’istituendo gruppo di lavoro per la prevenzione vuole affrontare la questione relativa all’educazione alle differenze e ai sentimenti oggi esistente nelle scuole e nei piani formativi.
Una particolare attenzione merita infine la questione dei libri di testo poiché in molti di essi, ad oggi, sembrano permanere stereotipi sessisti.
Il secondo gruppo di lavoro “Perseguire”.
A questo aspetto la precedente Commissione di inchiesta aveva dedicato particolare attenzione, anche effettuando una prima valutazione degli effetti prodotti dal decreto-legge n. 93 del 2013 (cosiddetto decreto antifemminicidio). Proprio partendo dagli esiti dell’inchiesta sarebbe opportuno che questo gruppo di lavoro approfondisse alcuni temi più nel dettaglio.
Un primo aspetto oggetto di analisi riguarderà i criteri e le modalità di scelta dei consulenti tecnici, sia d’ufficio che di parte, nell’ambito dei procedimenti per reati di violenza di genere. A legislazione vigente non sembrano essere richieste ai consulenti tecnici (quali medici o psicologi) puntuali competenze/esperienze nel campo della violenza di genere, nonostante l’unanime riconoscimento della complessità e specificità del fenomeno.
Un secondo tema che, sulla scorta della medesima relazione conclusiva della precedente inchiesta, merita una attenzione particolare è quello afferente ai problematici rapporti tra i vari contesti giurisdizionali e nello specifico ai rapporti tra procedimenti/processi penali per reati di violenza e giudizi civili per l’affidamento dei minori nonché nei giudizi di separazione e di divorzio. Attualmente, infatti, le determinazioni afferenti all’affido dei minori risultano spesso ispirate al solo principio della necessaria bigenitorialità e quindi del tutto disancorate dagli elementi acquisiti in sede penale, perfino in presenza di provvedimenti cautelari a carico del soggetto ritenuto abusante-maltrattante. A questo aggiungiamo anche il tema – spinoso – delle consulenze tecniche per le questioni dell’affido che, ispirate a teorie che non tengono conto della violenza (e dei rischi della violenza connessi alla vita dei minori), si trasformano sovente in strumenti di vittimizzazione secondaria delle donne.
Un ulteriore profilo da approfondire, anche alla luce di recenti vicende di cronaca giudiziaria, riguarda la questione della disciplina processuale nei giudizi per reati di violenza di genere (soprattutto dei femminicidi), con particolare attenzione alle modalità di determinazione della pena e, quindi, agli spazi di discrezionalità del giudicante in ordine all’applicazione delle circostanze attenuanti nei casi in cui il fatto è commesso ai danni di donne vulnerabili o nei casi in cui ricorrano circostanze aggravanti (si pensi ai reati commessi in danno di minori o di persone legate da un rapporto affettivo o familiare con l’autore del crimine).
Un quarto aspetto è il tema della violenza subita dalle donne in condizione di disabilità. Le donne con disabilità vivono una doppia discriminazione: come donne e come persone disabili. La disabilità peraltro spesso rende ancora più difficile far emergere le forme di violenza subita. Queste donne, come ha rilevato anche la relazione conclusiva dell’inchiesta della passata legislatura, vivono in una drammatica condizione di invisibilità. In proposito il gruppo di lavoro potrebbe, da un lato, valutare la concreta attuazione in Italia non solo della Convenzione sui diritti umani delle persone con disabilità, ma anche della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW), ambedue ratificate dal nostro Paese e, dall’altro, verificare la congruità della legislazione nazionale con particolare riguardo proprio alle discriminazioni intersezionali.
Ulteriore questione di interesse del gruppo di lavoro è quello delle molestie sul luogo di lavoro. In relazione a questa problematica è necessario ricordare che, sulla base di una rilevazione svolta dall’ISTAT nel 2016, sono oltre 1 milione e 400 mila le donne che hanno subito nel corso della loro vita molestie o ricatti sessuali sul luogo di lavoro. Si tratta di un tema delicato e di difficile emersione. A ben vedere, infatti sono meno dell’1% le donne che denunciano tali forme di violenza, pur avendole subite, soprattutto per il rischio che una denuncia possa ripercuotersi negativamente sulla sfera lavorativa. Pertanto un obiettivo da valutare è quello suggerito dalla Commissione della scorsa legislatura nel Rapporto conclusivo dei lavori in cui si auspica l’introduzione di una fattispecie ad hoc di natura delittuosa e a struttura dolosa.
Un ultimo profilo che il gruppo di lavoro potrebbe approfondire riguarda una problematica non espressamente trattata nella precedente inchiesta: quella della vittimizzazione secondaria delle donne straniere. Tali donne infatti si trovano in una situazione di particolare vulnerabilità e multi discriminazioni ed in quanto tali ad esse deve essere assicurata una maggiore e più specifica protezione. Relativamente a questa tematica è opportuno che il gruppo di lavoro, da un lato, effettui una verifica sulla congruità ed effettiva applicazione della normativa vigente, e in particolare dell’istituto del permesso di soggiorno per le vittime di violenza domestica di cui all’articolo 18-bis del TU immigrazione (decreto legislativo n. 286 del 1998), anche alla luce delle recenti modifiche legislative in materia di immigrazione, e dall’altro, proceda, ove necessario, alla individuazione di ulteriori misure di protezione, finalizzate ad assicurare alle vittime di violenza l’effettivo accesso ai servizi di protezione e supporto.
Infine il terzo gruppo di lavoro “Proteggere”.
E’ essenziale che la donna vittima di violenza dopo essere stata adeguatamente aiutata nel momento della denuncia e assistita sul piano sanitario, sia seguita nella fase successiva al fine di evitare un pericoloso ritorno alla condizione originaria. Come è noto troppo spesso le vittime, soprattutto di violenza in ambito domestico o nelle relazioni affettive, per mancanza di un adeguato sostegno anche di natura economica, temporeggiano, esponendosi al rischio di pericolose e spesso letali escalation di violenza. Da tale punto di vista il gruppo di lavoro analizzerà l’attuazione di protocolli regionali per la creazione di reti che gestiscano i casi di violenza contro le donne.
In proposito un primo aspetto da approfondire è costituito dalla c.d. presa in carico delle vittime con particolare riguardo al ruolo dei centri antiviolenza e/o case rifugio. Dai lavori della precedente inchiesta è emerso, infatti, come il funzionamento dei centri suddetti e il livello dei servizi da essi forniti non siano uniformi sul territorio nazionale. Si potrebbe verificare l’esistenza di criteri per garantire un’adeguata quantità e qualità. Il ruolo dei centri antiviolenza è essenziale non solo ai fini dell’emersione del fenomeno della violenza e alla precoce individuazione delle vittime ad alto rischio, ma anche in relazione al definitivo affrancamento delle stesse dal contesto violento, riservando particolare attenzione ai percorsi verso l’autonomia economica (formazione professionali, apprendistato, borse lavoro, incentivo speciale per l’assunzione in impresa o per l’autoimpiego, ecc.).
In questo contesto è importante una riflessione sulla informazione/ formazione/ aggiornamento/ specializzazione delle figure professionali, che, a vario titolo, si trovano a gestire episodi di violenza di genere. Fra questi una attenzione particolare deve essere riservata alla verifica della formazione del personale delle forze dell’ordine, del personale medico e sanitario, nonché degli operatori a vario titolo impegnati nei percorsi di presa in carico e protezione delle vittime di violenza, inclusi gli insegnanti, soprattutto per il ruolo che questi possono svolgere nella precoce individuazione dei segnali di violenza e nella valutazione del rischio di esposizione della donna o del minore a più gravi fatti di sangue e delle risorse ad esso finalizzate.
Un ulteriore profilo da analizzare è rappresentato dal ruolo del sistema sanitario nella politica di contrasto al fenomeno. Al riguardo un primo aspetto da valutare è la concreta applicazione delle recenti linee guida nazionali volte ad indirizzare ed orientare l’operato delle aziende sanitarie ed ospedaliere in tema di soccorso ed assistenza socio-sanitaria alle donne vittime di violenza e ai loro figli, vittime di violenza assistita. È necessario ricordare che tali linee guida si sono aggiunte, in alcune Regioni, a protocolli già operativi da anni.
Altro tema da verificare è quello degli strumenti messi in campo dalle forze dell’ordine, e in particolare del funzionamento dei protocolli operativi (quali ad esempio il Protocollo EVA) e dei metodi seguiti per la valutazione del rischio (quali il c.d. metodo SARA).
Infine, in tema di protezione, attenzione specifica merita la problematica connessa al recupero degli uomini maltrattanti, con particolare riguardo alla possibile introduzione di percorsi di rieducazione e riabilitazione per autori di comportamenti violenti, che valgano sia come strumento di prevenzione, sia in caso di ammonimento o condanna, sia per accompagnare la fase post detentiva, e che siano centrati sulla assunzione di una responsabilità personale (anche al fine di influire positivamente sulla recidiva degli autori di violenza) e infine alla realizzazione di una rete nazionale di centri per uomini maltrattanti, che abbia ben chiara la priorità (come recita la Convenzione di Istanbul all’art. 16 paragrafo 3), che va data (anche quando ci si occupa di maltrattanti) a:” la sicurezza, il supporto e i diritti umani delle vittime “.
Concludendo poi appaiono opportune alcune precisazioni relative all’organizzazione e al funzionamento dei lavori: sulla base delle indicazioni fornite dai singoli gruppi di lavoro, la Commissione in sede plenaria si riserverà lo svolgimento di audizioni “mirate”. Inoltre, sempre, in relazione alle indicazioni dei gruppi di lavoro la Commissione potrà svolgere altrettante puntuali missioni e sopralluoghi, volti ad esempio ad accertare in concreto il funzionamento dei centri antiviolenza o nei Pronto soccorso, il funzionamento dei “percorsi per le donne che subiscono violenza” (percorsi o codici rosa).