Ddl 735, Adamo dice no alle strumentalizzazioni e alle letture di parte. Di seguito la nota integrale inviata alla nostra redazione.
L’apertura dei lavori relativi al DDL 735 ha innescato, come era inevitabile e per certi versi salutare, un accesso dibattito su una materia che è estremamente delicata e tocca nell’intimo migliaia di persone. La stampa ha, avuto modo di sviscerare tale argomento riportando in alcuni casi clamorose inesattezze e, come prevedibile, dando risalto il più delle volte non ai fatti ma alle interpretazioni dell’estensore. La libertà di opinione e di critica sono principii base della democrazia e come associazione crediamo nel pluralismo e nella diversità; tuttavia la visione ideologizzata di una tematica così importante rischia di generare un quadro distorto in un contesto fazioso.
Tra le voci più autorevoli del dissenso verso il DDL 735, occorre senza dubbio menzionare quella di Nadia Somma, blogger de Il Fatto Quotidiano e attivista femminista. Nel giro di pochi giorni, la giornalista è tornata molte volte sulla questione riportando un punto di vista che, oltre ad essere fortemente opinabile, appare più volto alla dimostrazione di una tesi (spesso con esiti anche infelici) che all’argomentazione corroborata da fatti. In particolare siamo rimasti molto sconcertati nella lettura dell’articolo datato 19/09.
Il fatto che la testata decida di affidare ad una responsabile di un centro antiviolenza ed attivista femminista la scrittura di un articolo è fortemente indicativo dello schieramento ideologico e di come venga percepito il nesso che dovrebbe intercorrere tra violenza e dinamiche di separazione.
Il titolo si rivela un peana davvero infelice: “Affido condiviso, il ddl Pillon non consegni i bambini a genitori violenti”. Dove per genitore violento, si intende come di consueto il padre, giacché le madri sono per definizione incapaci di fare del male. L’autrice, ad ogni modo, parte dal presupposto che il fine ultimo del legislatore sia quello di consegnare figli innocenti ai genitori brutali. Una autentica assurdità: in quanto presupporrebbe un disegno criminale oltre che una assoluta incostituzionalità del testo. Tale assunto non meriterebbe ulteriori commenti se l’autrice non tornasse sull’argomento affermando che questo disegno sarebbe “un obbrobrio di legge che farebbe calare il silenzio sulle violenze consegnando i bambi a maltrattanti”. Sarebbe interessante scoprire quali passaggi del testo si muoverebbero in tale direzione ma la Somma omette tali citazioni che sarebbero in verità piuttosto necessarie in quanto costituirebbero il nerbo dell’argomentazione stessa.
Di contro si preferisce riportare un orribile episodio di cronaca recente (l’uomo che ha ucciso il figlio di un anno) che, ovviamente, non trova nessuna giustificazione ma solo condanna presso tutti i padri e tutte le associazioni di categoria e che non ha, altrettanto ovviamente, nessuna relazione con il disegno. Tale accostamento è proprio di una retorica abbastanza rozza e appare come una censurabile e artificiosa strumentalizzazione di un inquietante fatto di cronaca citato artatamente per creare un collegamento inesistente con l’operato del senatore.
Ma, d’altronde, il corto circuito non è casuale perché il fine ultimo sarebbe “il controllo delle donne e la deresponsabilizzazione dei genitori violenti”. Anche in questo caso mancano le fonti e ai fatti si sostituiscono i pareri. Espressi, a nostro modesto parere, ancora una volta con uno stile vieto e inefficace che nasconde un nocciolo di pensiero che diventa poi preoccupante.
La dottoressa Somma afferma, infatti, “l’affidamento condiviso sarebbe escluso per quei genitori che commettono violenze ma omette di dire che l’esclusione arriverebbe dopo tre gradi di giudizio e sentenza passata in giudicato”. Questa frase dimostra non solo ignoranza della norma in discussione ma anche di quella attuale: in entrambi i casi il giudice può disporre l’allontanamento del genitore qualora ravvisi elementi di pericolo per il minore. Le responsabili dei centri antiviolenza possono dunque stare tranquille: la tutela della prole è cosa pacifica ed incontestabile. E se episodi orribili si verificano, la colpa, ovviamente, non può essere addossata alla legge (che, al contrario, opera a tutela delle vittime) o ai suoi autori ma unicamente ai suoi trasgressori.
La Somma, poi, cita come se fosse una inutile lungaggine la consuetudine di definire un soggetto come colpevole solo dopo i tre gradi di giudizio. È evidente che alla giornalista piacerebbe se, per mandare in galera un uomo, fosse sufficiente la sola denuncia. Ognuno ha diritto ai suoi pareri e alle sue convinzioni: noi, come associazione ADAMO, continuiamo ad essere lieti che l’Italia sia ancora uno stato di diritto dove per condannare un uomo ci vuole anche ancora un processo. Per fortuna la semplice parola di un soggetto contro quella di un altro non è ancora sufficiente per condannare qualcuno. E di questo ce ne rallegriamo. Soprattutto alla luce delle numerose denunce false e strumentali che molti uomini subiscono all’avvio delle procedure di separazione.
Seguono poi pareri più o meno a casaccio e più o meno discutibili (su tutti quello dell’avvocato Coffari) che sottendono in maniera piuttosto rozza una tesi purtroppo inveterata in certo femminismo oltranzista. Si parte dal presupposto che tutti gli uomini siano esseri violenti e prevaricatori e che la figura paterna sia sempre incarnata da un orco animalesco e maltrattante. Tra le altre cose viene bellamente ignorata la statistica riportata da Telefono Azzurro (ente sicuramente non di parte) secondo la quale la violenza viene perpetrata nel 44% dei casi dalla madre e “solo” nel 29% dal padre (ma anche lo 0,1% sarebbe sempre troppo).
Sarebbe a questo punto facile corroborare questa statistica (di cui riportiamo il link: http://www.repubblica.it/salute/prevenzione/2016/05/12/news/maltrattamenti_sui_minori_tutti_gli_abusi-139630223/) sviscerando il tristissimo fatto di cronaca che ha visto come protagonista l’ennesima infanticida, ma la nostra sensibilità di padri innamorati dei figli (anche quando non sono i nostri) ci impedisce di rimestare nel torbido e di strumentalizzare il dolore e la tragedia. È un costume discutibile che appartiene ad altri. Non a noi.
Come associazione rigettiamo del tutto l’assurda tesi di fondo secondo la quale il genitore di sesso maschile è sempre e comunque un violento ed un prevaricatore. Condanniamo con forza qualsiasi forma di sopruso compiuto da uomini nei confronti di figli o mogli e con uguale energia reclamiamo il diritto ad una narrazione dei fatti maggiormente aderente alla realtà. Non tutti gli uomini sono dei bruti: se così non fosse gli obitori sarebbero pieni di cadaveri di donne innocenti e le carceri delle macabre case alloggio per assassini della peggiore risma. L’assillante campagna mediatica volta alla sistematica denigrazione del ruolo paterno e maschile sovverte quella che è la percezione della realtà rendendo sfalsata la stessa e influenzando inevitabilmente l’opinione pubblica e le attività di giudici e legislatori.
Appare dunque chiaro che l’intento non è solo denigrare il DDL 735, che è suscettibile di modifiche e miglioramenti, ma riproporre una assurda battaglia dei sessi della quale non sentiamo alcun desiderio, di cui non avvertiamo il senso e alla quale ci rifiutiamo di partecipare.
Il DDL del senatore Pillon non intende ledere i diritti di nessuno ma solo riequilibrare la stortura che la giurisprudenza ha creato pervertendo i buoni intenti della legge 54 del 2006.
I margini di miglioramento ci sono e ci auguriamo che vengano ampiamente coperti. Perché, a differenza del messaggio che certi ambienti vogliono veicolare, il DDL non vuole tutelare i padri ma restituire affetto e pienezza alla vita di tanti, troppi minori. Per questa ragione, ADAMO ha scelto di supportare con convinzione il DDL e di contribuire sin dall’apertura dei lavori che ci ha visto in prima linea.
Per il bene dei nostri figli siamo convinti che essi non debbano mai essere orfani di un genitore vivo e che abbiano diritto ad avere una madre ed un padre.
Sempre.