Il materano Nicola D’Imperio in una nota esprime alcune riflessioni sulla vicenda che ha coinvolto la ragazza liberata dopo 18 mesi vissuti da prigioniera di Al Shabaad, uno dei più pericolosi gruppi estremisti islamici e racconta l’esperienza dell’associazione “Amici di Ampasilava”. Di seguito la nota integrale.
Qualche giorno fa una cooperante italiana rapita in Africa è stata liberata, dietro il pagamento di 4 milioni di euro da parte dello Stato italiano ad Al Shabaad, uno dei più pericolosi gruppi estremisti islamici. Al suo ritorno è scesa dall’aereo vestita con lo chador proclamando con fierezza la sua conversione all’Islam.
Doppia vittoria dei criminali perché hanno ottenuto un’ingente somma di denaro e una enorme pubblicità in tutto il mondo! Non voglio soffermarmi sull’opportunità o meno di pagare il riscatto oppure sulla opportunità o meno di dare tanto risalto a quella disgraziata che scendeva con lo chador dalla scaletta dell’aereo e che rilasciava interviste a destra e a manca come una diva dello spettacolo, ma voglio raccontare un’altra storia che dimostra come ci sono altri modi per aiutare la gente del terzo mondo.
Una ventina di anni fa il dr. Alessandro Pasotto, medico del ferrarese e sua moglie Rosanna Tassinari, caposala nell’ospedale di Cento (Fe), avevano acquistato un resort in Madagascar, precisamente ad Andavacoaka, un piccolo villaggio di pescatori Vezo (una delle 18 etnie dell’isola) nella regione del Tulear, sulla costa sud ovest, a 180 km da Tulear.Il mare antistante ad Andavacoaka è nell’elenco delle riserve marine del WWF e secondo, come biodiversità, solo alla barriera corallina australiana. Le bellezze naturalistiche, il mare incontaminato, il luogo selvaggio distante dall’aereoporto della capitale 12 ore di viaggio in fuoristrada su pista battuta, ne facevano una meta ambita per un turismo di elite e facoltoso.
Un giorno un bambino del villaggio indigeno cadde da un albero su cui era andato a raccogliere delle noci di cocco ed essendo impossibile condurlo nel più vicino ospedale, fu portato nella piccola infermeria del resort turistico. Era in condizioni gravissime, ma Alessandro e Rosanna, con mezzi di fortuna, riuscirono a salvarlo.
Sino ad allora i nativi non sapevano che i proprietari di quel residence per stranieri ricchi fossero un medico e sua moglie infermiera, ma da allora la voce si sparse a tutti i villaggi delle vicinanze e, nei giorni successivi, i coniugi Pasotto tutte le mattine si ritrovavano all’ingresso del resort iVezo che chiedevano di essere curati; e la fila cresceva tutti i giorni. Essi cercarono di fare il possibile con i pochi mezzi a loro disposizione, distribuendo le medicine che avevano, ma ben presto furono senza mezzi e, mediante un telefono satellitare, si misero in contatto con i loro amici di Bologna, tra cui io che allora facevo il primario all’ospedale Maggiore e facemmo arrivare loro un primo carico di materiale sanitario e di farmaci. Ma nei mesi successivi il numero dei Malgasci che si rivolgevano per farsi curare aumentò a dismisura, allora Alessandro e Rosanna presero una decisione: quella di rinunciare ai guadagni del resort trasformandolo in un ospedale gratuito per la gente del posto. Erano però necessari altri medici, infermieri, attrezzature basilari, farmaci, strutture.
Vennero a Bologna, dove io sono stato il loro primo punto di riferimento, poi a Ferrara e poi andarono in giro per tutta l’Italia alla ricerca di gente da sensibilizzare, di attrezzature ospedaliere dismesse, ma funzionanti, gruppi elettrogeni, farmaci inutilizzati, medici, infermieri, tecnici, muratori, elettricisti, idraulici. Fondarono l’associazione “Amici di Ampasilava” e, nel 2008, dopo soli due anni, si inaugurò l’ospedale Vezo che oggi offre assistenza a 200.000 abitanti sparsi su 200 Km quadri, distribuiti in 180 villaggi ed ha un reparto di degenza con 11 posti letto, una sala travaglio, un percorso mamma-bimbo, una sala operatoria generale, una radiologia, un laboratorio d’analisi e le specialità mediche essenziali. Tutte le prestazioni, ovviamente, sono gratuite!
I medici, gli infermieri, i tecnici sono tutti italiani, i primi sono venuti dall’ospedale Maggiore e S. Orsola di Bologna, ma ora anche da numerose altre città, sono tutti volontari, utilizzano le ferie o congedi straordinari non retribuiti, pagano di tasca propria il viaggio, l’alloggio e il vitto. La direzione della struttura si pregia nel fare notare che non c’è stato nessun finanziamento pubblico né italiano, né internazionale.
Ecco, questo è un modo per aiutare il “terzo mondo”: i proprietari di un resort che rinunciano ai loro guadagni per trasformarlo in un ospedale pubblico gratuito con farmaci ed attrezzature avuti in beneficienza, nessun contributo pubblico, assoluta volontarietà e gratuità di medici, infermieri e altro personale.
Quanto stridono con tutto ciò quei 4 milioni di euro pagati dallo Stato italiano per un riscatto in un paese dove il reddito medio mensile non supera i 30 euro!
Quanto stride la finalità dell’acquisto di farmaci e attrezzature sanitarie con l’acquisto di armi a cui sono destinati quei 4 milioni!
Quanto stride la modestia e la riservatezza degli “Amici di Ampasilava” con la spettacolarità e il protagonismo di questa disgraziata ragazza prima rapita, poi convertita, liberata e utilizzata come propaganda di un estremismo religioso!