Sulla violenza domestica nelle coppie di pari genere si registra l’intervento di Ivana Giudice, presidente del C.A.I.
A fronte del grave episodio di violenza accaduto a Gallicano, alle porte di Roma, che ha visto coinvolta una coppia di soggetti pari, di seguito l’intervento del C.A.I. sulla questione della violenza nelle coppie dello stesso sesso. Una questione che a tutt’oggi risulta poco dibattuta e per nulla concretamente tutelata.
Per comprendere il problema, occorre partire dalla definizione di “violenza domestica”, costituita dall’insieme dei comportamenti violenti e coercitivi con cui un partner cerca di intimidire, controllare e dominare l’altro. Comportamenti che consistono in atti di aggressione fisica, ma non solo, perché prodromici o contestuali agli stessi sono gli atti di aggressione psicologica, ovvero quelle strategie di maltrattamento psicologico, sessuale e sociale.
La prospettiva eterosessuale con cui ci si approccia al problema della violenza domestica e’ esclusivamente fondata sul genere biologico. Di qui, l’erronea convinzione che la violenza tra soggetti pari non sia una vera e propria violenza domestica, perche’ non avrebbe lo stesso grado di pericolosita’ e le stesse conseguenze della violenza che una donna subisce da parte di un uomo. A tale approccio si aggiunga che spesso siano proprio i gay e le lesbiche i primi a non voler riconoscere l’aggressività del o della partner come un maltrattamento. Ovvero, anche quando vi è la consapevolezza di un abuso fisico o psichico, spesso il maltrattato sceglie di non denunciare l’aggressore. Il motivo di tale scelta? Il timore dei pregiudizi della societa’ ovvero la paura che la pericolosità della situazione abusante in cui si versa non sia compresa dagli altri, o venga addirittura derisa da chi, invece, dovrebbe tutelare. Ciò perché l’impreparazione sociale alla violenza fra coppie omosessuali è un dato di fatto che non può essere sottaciuto. Impreparazione che è comune a tutti i soggetti coinvolti, sia istituzionali che associazionistici. Vero è che, dati su abusi commessi da partner dello stesso sesso, non paiono ritrovarsi in nessun database del nostro Paese. Negli Stati Uniti, invece, ove il problema è avvertito da anni, si registra che i casi di violenza fra coppie di pari sesso raggiungono addirittura proporzioni più alte rispetto alle coppie etero. A far da padrona pare essere anche la paura all’interno della comunità LGBTI di parlare di violenza domestica delle coppie omosessuali. Paura che nascerebbe dal timore di aumentare il discredito nei confronti della stessa comunità. Il rischio di tutto ciò? È che, perseverando in un tale atteggiamento, si continui a negare o a non voler vedere il problema. La conseguenza? L’isolamento della vittima nella relazione violenta.
La violenza non dipende né dal genere biologico né tantomeno dall’orientamento sessuale. La violenza è una scelta. L’obiettivo che spinge l’aggressore ad utilizzare comportamenti violenti, sia che si tratti di coppia etero che di coppia omo, è quello di voler esercitare un controllo generale e assoluto sul partner. Per raggiungere l’obiettivo, il maltrattante cerca di subordinare il partner al suo potere, anche attraverso l’utilizzo di una serie di strategie manipolative, che con il tempo ingenerano nella vittima la percezione di essere lei stessa la causa del suo maltrattamento.
Cosa fare?
Sarebbe auspicabile, a fronte di ciò, innanzitutto una adeguata formazione e preparazione dei soggetti coinvolti nelle tutele apprestate per la violenza di genere anche alla violenza fra soggetti dello stesso genere. In secondo luogo, una equiparazione dei percorsi di uscita dal tunnel della violenza di genere anche alle vittime della violenza fra pari genere.
Solo in tal modo, si potra’ discorrere di una tutela concreta per tutte le vittime di violenza domestica, perché la violenza non ha sesso.